Storia antica egizi sumeri inca ittiti maya e di altri popoli

 


 

Storia antica egizi sumeri inca ittiti maya e di altri popoli

 

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Gli egizi

 

Una civiltà sulle rive del Nilo 

 

L'Egitto, all'estremità nord-occidentale del continente africano, è una delle regioni più fertili del Mediterraneo.
Interamente attraversata dal fiume Nilo, che nasce dalle montagne dell'Africa centrale e sfocia con un ampio delta nelle acque del mare Mediterraneo, è delimitata a ovest dal deserto arabico e a est da quello libico.
Prima che fossero costruiti dighe e sbarramenti, il fiume, in piena in primavera, sommergeva completamente i terreni circostanti e si ritirava solo alla fine di settembre, lasciando l'intera valle ricoperta di limo, una fanghiglia ricca di sostanze minerali fertilizzanti.
Fin dal neolitico, la fertilità delle pianure del Nilo attrasse gruppi di cacciatori e di pastori provenienti dall'Asia. Essi diedero vita alle prime comunità stanziali agricole (si trattava dei badari, dei merimda e dei nagada).
Si deve proprio a queste prime comunità la difficile opera di bonifica e di diboscamento dell'intera valle. Grazie alla costruzione di argini si riuscì a frenare l'impetuosa avanzata delle acque durante le inondazioni, mentre un sistema di canalizzazione permise di regolarne il flusso, convogliandolo su più vaste zone. Questo dimostra che "il dono del Nilo" fu anche il risultato dell'ingegno e quindi dell'abilità dell'uomo.

 

Il regno antico 

Prima del 3000 a.C. la "terra del Nilo" era divisa in Basso e Alto Egitto. Intorno al 3100 a.C., secondo la tradizione, Menes, capo di un villaggio del sud egiziano, conquistò il Basso Egitto e costituì un regno unitario, con capitale a Thinis (regno thinita). Con Menes ebbe inizio il periodo che gli storici definiscono regno antico (2700-2200 a.C.), svoltosi nell'arco di sei diverse dinastie.
I sovrani che succedettero a Menes, appartenenti alla I e alla II dinastia (3100-2700 a.C.) mantennero Thinis come riferimento di tutta la vita politica del paese. A partire dalla III dinastia, la capitale venne spostata a Menfi.
Durante questo primo periodo, gli egizi occuparono la Nubia, principale fonte di approvvigionamento di schiavi e di materie prime, e imposero il loro controllo sulla regione del Sinai.
La società venne organizzata sulla base di un modello piramidale, al vertice del quale stava il re, chiamato faraone e più tardi considerato un dio, figlio del Sole. Al di sotto del faraone vi erano due caste: i sacerdoti e i guerrieri.
A partire dalla IV dinastia, l'apparato amministrativo dello stato venne gestito da un tjati (simile al visir turco) che rispondeva direttamente al faraone e aveva il compito di nominare, o di licenziare, alti funzionari preposti all'amministrazione pubblica.
A fianco di questi ultimi operavano gli scribi, ai quali era affidato il compito di registrazione e archiviazione amministrativa, ma anche quello di misurazione delle terre (suddivise in distretti o nòmi) e censimento dei capi di bestiame. Inoltre agli scribi spettavano mansioni doganali e la riscossione delle tasse sulle merci. In posizione inferiore rispetto agli scribi vi erano gli artigiani e i contadini, le uniche classi effettivamente produttive, che godevano di una certa libertà. Gli schiavi, prigionieri di guerra, erano adibiti ai lavori più pesanti e costituivano la fascia più bassa della gerarchia sociale.

 

I faraoni della IV dinastia 

Nel regno antico il massimo splendore fu raggiunto con i faraoni Cheope, Chefren e Micerino, della IV dinastia. Espressione più alta della loro potenza sono le grandi piramidi, imponenti monumenti funerari, costruiti con giganteschi blocchi di pietra.
Già il faraone Gioser si era fatto costruire, con la tecnica della pietra squadrata, una grandissima piramide a gradoni nella località di Sakkara. Cheope, Chefren e Micerino fecero edificare le piramidi di Giza (vicino al Cairo). Tra queste la più famosa è senza dubbio la piramide di Chefren, al cui ingresso sorge la costruzione della Sfinge, un'enorme statua con il corpo di leone accovacciato e con la testa di faraone.

 

Il faraone

 

La parola faraone deriva dall'egizio antico per - 'ò', che significa "casa elevata", "reggia". Con l'avvento della XXII dinastia, divenne un prefisso che indicava il "Grande nome" del re, prima di sostantivarsi e di passare a indicare il re stesso. Secondo la storia ebraica, sarebbe addirittura esistito un re Faraone, in cui l'antico prefisso divenne un nome proprio.
Il faraone era considerato come una diretta emanazione della divinità e, in quanto tale, era fatto oggetto di un culto particolare che consisteva in una serie di complesse cerimonie religiose celebrate dai sacerdoti. Il potere del faraone sul suo popolo era assoluto: egli rappresentava la giustizia e la saggezza.
Erede diretto del dio Horus, da cui riceveva autorità e protezione, il faraone veniva indicato nella scrittura geroglifica col segno inconfondibile dell'anello solare. Indossava abiti sontuosi adorni di pietre preziose multicolori come turchesi e lapislazzuli e portava la corona sopra una parrucca. Aveva la fronte adornata da un amuleto a forma di serpente, simbolo del potere regale. Inoltre vestiva una sottana bianca pieghettata, fermata alla vita da una cintura pesante, oppure un abito bianco lungo fino ai piedi.
Essendo al primo posto nella scala sociale dello stato teocratico, il faraone era il simbolo della prosperità del paese. Secondo la mentalità popolare egli assicurava la fertilità delle terre, poiché era creduto figlio del dio Nilo, padre di tutti gli dei. Egli soltanto poteva godere della vita ultraterrena, una prerogativa che gli veniva riconosciuta da una dottrina stellare, e successivamente (dalla IV dinastia in poi) da una dottrina solare.

 

La mummificazione

 

Una volta morto, il faraone veniva mummificato e sepolto con grandi onori nella sua tomba, la piramide. Accanto a essa venivano poste due navi, emblema delle barche con le quali il padre divino Ra (il Sole), percorreva il cielo, sorgendo dal mare e lasciando durante la notte la Luna a sostituirlo. Non a caso gli scavi archeologici effettuati vicino alla grande piramide di Cheope, sulla collina di Giza, hanno portato alla luce una nave.
La pratica della mummificazione, in seguito estesa anche a parte della popolazione e perfino agli animali, nasceva dal culto particolare riservato al corpo del faraone, che non doveva decomporsi per avere la possibilità di reincarnarsi.
Il processo di mummificazione richiedeva diversi passaggi successivi: l'eliminazione del cervello e dell'intestino; l'introduzione di aromi e di profumi; l'immersione del corpo, dopo averlo cosparso di catrame, in una soluzione di soda e la conservazione di esso per circa 70 giorni; quindi il lavaggio del cadavere e la fasciatura, che veniva compiuta utilizzando bende di lino, spalmate di resina; l'applicazione al volto della maschera di tela e gesso per i semplici cittadini, d'oro per i faraoni e i funzionari importanti.
Dopo un periodo di circa due mesi e mezzo dalla morte del faraone, il corpo del defunto, oramai mummia, era pronto per essere messo nella bara. Questa veniva chiusa in un sarcofago di pietra che avrebbe dovuto proteggere il defunto da qualsiasi influsso malefico.

 

Il primo periodo intermedio 

Conclusasi la VI dinastia, una crisi politica e istituzionale colpì il potere centrale del faraone a vantaggio dei sacerdoti e della potente nobiltà provinciale. Iniziò un periodo di lotte intestine e ribellioni sociali, culminato con le invasioni di tribù beduine provenienti dalla Libia. La debolezza politica del faraone portò come effetto alla disgregazione dell'unità del paese, favorendo la nascita di piccoli feudi locali.
Di questa ingarbugliata e complessa situazione risentì soprattutto l'economia, che venne danneggiata enormemente dai conflitti interni e dall'instabilità dei rapporti commerciali con l'estero. Questa fase, che viene comunemente detta primo periodo intermedio (2200-2050 a.C.) e che occupa il momento compreso tra la VII e la X dinastia, fu essenzialmente un'epoca di trapasso che sfociò in un nuovo assetto politico e sociale.

 

Il regno medio 

Nel 2050 a.C. tutti i feudi locali furono sottomessi dai sovrani di Tebe, che ripristinarono il potere centrale del faraone ed elessero la loro città, capitale del nuovo regno. In questo modo ebbe inizio un nuovo periodo chiamato regno medio (2050-1800 a.C.), che vide al governo la XI e l'XII dinastia.
L'Egitto, di nuovo unito, riprese i commerci e il controllo sulle terre vicine. Faraoni quali Amenemhet I e Sesostri III amministrarono con saggezza il territorio, coadiuvati da funzionari capaci e istruiti. Essi avviarono grandi opere di bonifica e di irrigazione; favorirono i commerci con il Mediterraneo orientale (in particolare con Creta) e occuparono a scopo difensivo alcune zone della Nubia e della Palestina, per disporre di solidi avamposti militari.

 

Il secondo periodo intermedio 

Con i sovrani della XIII dinastia il potere si indebolì nuovamente. Ad aggravare la situazione giunse, nel 1750 a.C., un'invasione da parte degli hyksos. Si trattava di una popolazione proveniente dall'Asia, comprendente elementi hurriti, indoeuropei e semiti, costretti a fuggire dalle loro terre originarie sotto la spinta di intensi flussi migratori barbari in Oriente. Avvalendosi di nuove tecnologie militari, quali il carro da guerra trainato da cavalli, gli hyksos sconfissero le armate egizie e occuparono il Basso Egitto per circa due secoli. La loro capitale fu Avaris, lungo il delta orientale del Nilo.
Durante questa fase denominata secondo periodo intermedio (1800-1570 a.C.), governarono cinque dinastie dalla XIII alla XVII.
Intorno al 1570 a.C. il re tebano Khamose della XVII dinastia intraprese campagne militari contro i dominatori hyksos riportando significativi successi. Le sue imprese vittoriose furono celebrate su alcune steli innalzate a Tebe. La definitiva cacciata dei "barbari" fu opera del suo successore, Amosis I, il quale riportò il regno d'Egitto al suo antico splendore, inaugurando un periodo di floridezza, il regno nuovo, che durò circa quattrocento anni (1540-1150 a.C., dalla XVIII alla XX dinastia).

 

Il regno nuovo 

L'Egitto aveva sviluppato una capacità bellica che consentì ai sovrani della XVIII dinastia di occupare la Siria e la Palestina. Tebe, tornata a essere la capitale del regno, divenne una città splendida sotto ogni aspetto.
Il faraone Tutmosi III estese i territori egizi dall'Eufrate fino alla quarta cateratta del Nilo. Nel 1480 siriani e palestinesi furono sconfitti a Meghiddo dalle truppe di Tutmosi III che conquistò poi la Fenicia e la Palestina, sottomettendo anche i mitanni. I suoi successori  stabilirono una tregua, durante la quale l'Egitto firmò una pace con i mitanni.
Durante questo periodo i faraoni di Tebe della XVIII dinastia avevano ceduto parte del loro potere alla casta sacerdotale, legata al dio Amon e, per onorarne il culto, concedevano larga parte dei bottini di guerra ai templi. Le ingenti donazioni finirono per mettere  lo stesso faraone in uno stato di semidipendenza rispetto alla casta sacerdotale.

 

La riforma religiosa di Amenofi IV 

Il faraone Amenofi IV, che regnò dal 1377 al 1358 a.C., per limitare lo strapotere dei sacerdoti sostituì al culto del dio Amon quello di un unico dio, Aton, rappresentato dall'immagine del disco solare. Egli stesso si propose come intermediario tra il nuovo dio e gli uomini. Si fece chiamare Ekhnaton ("amato da Aton") e mutò il nome di Tebe in Akhetaton ("città di Aton"). Ma mentre Amenofi IV era concentrato in quest'opera di riforma religiosa e politica, l'Egitto si andava progressivamente indebolendo non solo all'interno (a causa delle insurrezioni organizzate dai nobili locali) ma anche all'esterno (sotto la pressione esercitata ai confini dell'impero da popoli bellicosi quali gli ittiti).
La riforma religiosa, ostacolata duramente dai sacerdoti e dalla nobiltà, non fu accettata neanche dalla popolazione che, coinvolta nella crisi politica e sociale del regno, preferì ritornare al precedente culto del dio Amon.
Alla morte di Amenofi IV, avvenuta nel 1358 a. C., in Egitto si fecero dei tentativi per ripristinare le precedenti condizioni politiche del paese, come dimostra la Stele della Restaurazione voluta dal successore Tutankhamon. Ma il vero artefice del ritorno all'ordine antico fu il generale Haremhab che, con l'appoggio della casta sacerdotale, ascese al trono come prescelto dal dio Amon. Divenuto faraone egli seppe governare con grande saggezza, riuscendo a sanare, in parte, la situazione del paese.

 

Ramses I, Ramses II, Ramses III  

Alla morte di Haremhab iniziò, con il faraone Ramses I, la XIX dinastia, che si trovò a dover sostenere in Asia dure battaglie contro gli ittiti. Lo scontro tra Ramses II e il sovrano ittita avvenne a Qadesh, in Siria, nel 1299 a.C. e si concluse senza vincitori né vinti.
Questa battaglia, tuttavia, arrestò l'avanzata ittita e segnò il dominio della cultura egizia su tutto il Mediterraneo. Due anni dopo, Ramses II e il sovrano ittita Hattusili decisero di stipulare un trattato di pace per arginare il pericolo comune rappresentato dagli assiri guidati da Salmanasar I. L'accordo fu consolidato dal matrimonio di Ramses II con la figlia del re ittita (evento documentato nella Stele del matrimonio ritrovata ad Abu-Simbel). Durante il regno di Ramses II la capitale fu spostata da Tebe a Pi-Ra'mses nella zona del delta.
Nel 1250 a.C. circa avveniva il biblico esodo dall'Egitto del popolo ebraico emigrato in quella terra, verso 1370 a.C., al tempo della politica universalistica di Amenofi IV.
Ramses III, l'ultimo grande faraone del regno nuovo, respinse le ripetute incursioni da parte dei libi e dei cosiddetti "popoli del mare", di provenienza asiatica, che tentarono di penetrare in Egitto attraverso la regione del Delta.
Dopo la sua morte, però, l'Egitto subì una grave crisi economica e sociale che scatenò proteste e rivolte da parte dei ceti più bassi, esasperati e stanchi di essere governati da una classe di funzionari e di sacerdoti corrotti.

 

Il periodo della decadenza 

Il regno, spezzato in due parti come un tempo, non fu in grado di arrestare l'avanzata degli assiri che in breve tempo ne realizzarono l'occupazione (667 a.C.). Nel 664 a.C. uno dei signori che amministravano per conto degli assiri le città egizie, riuscì a liberare l'Egitto, ricostituendone l'unità. Questo principe si chiamava Psammetico (della dinastia Saitica) e proveniva dalla città di Sais (nella regione del Delta). Egli si impegnò per dare al suo regno un periodo di pace e prosperità. Ma la fortuna della sua dinastia durò poco. Dotati di un esercito scarsamente equipaggiato e addestrato, i saitici furono facilmente assoggettati dai persiani nel 525 a.C. per opera del re Cambise. Quindi l'Egitto fu conquistato da Alessandro Magno nel 332 a.C. e alla sua morte divenne un regno ellenistico. Infine nel 30 a.C. diventò una colonia romana.

 

La religione 

Nella società egizia la religione occupava un posto preminente, poiché lo stesso faraone era venerato come un dio.
Le pratiche di culto erano destinate a mantenere in un rapporto di sudditanza il popolo. Gli dèi venivano adorati attraverso i loro simboli, per lo più animali: il coccodrillo che, scendendo verso il delta del Nilo, annunciava l'approssimarsi delle piene periodiche, così utili per ottenere raccolti ricchi e abbondanti; l'ibis, che uccideva i serpenti nascosti nel fango; il gatto, che eliminava i topi nocivi all'uomo in quanto si cibavano normalmente delle derrate alimentari conservate nei depositi.
Particolare significato era rivestito dal bue sacro o Api, un toro emblema delle forze benigne del cielo. In un tempio veniva custodito un bue vero, considerato sacro, che godeva di particolari onori, tanto che, alla sua morte, tutto il paese entrava in lutto.
Queste divinità appartenevano alla storia religiosa più antica dell'Egitto; più tardi esse persero in parte le sembianze animali diventando antropomorfe (ossia dall'aspetto metà animale e metà umano). Si pensi, per esempio, al dio Horus, divinità del Delta, che veniva rappresentato con un corpo maschile e la testa di falco. Il dio Ra, il Sole, aveva anch'esso l'aspetto di un uomo ed era creduto dispensatore di felicità.

 

Ra, Osiride e Iside  

La diffusione del culto di Ra fu compiuta dai sacerdoti di Eliopoli durante il regno antico. Il culto del dio Sole assunse diverse forme e si mantenne nel periodo del regno nuovo attraverso Amon, il dio ariete venerato soprattutto a Tebe. Amon incarnava l'immagine del creatore e del re del cosmo, dal quale dipendeva la vita degli uomini.
Progressivamente i sacerdoti-teologi preposti al suo culto, inculcarono la convinzione che esso fosse il dio supremo, al di sopra di tutte le altre divinità, dando vita a una sorta di primitivo monoteismo. La cosa, come sappiamo, non fu gradita al faraone Amenofi IV, il quale sostituì il culto di Amon, esclusiva prerogativa della casta sacerdotale, con quello di Aton, immaginato come il "disco solare". Dopo la morte di Amenofi però il dio Amon tornò a essere considerato la divinità principale.
Di una certa importanza era poi la coppia divina di Osiride, dio dei morti, e Iside, sua sposa. Attorno a queste due divinità era sorto persino un mito: Osiride, narra la leggenda, fu assassinato dal dio Seth il quale, essendo assai crudele, sparse le sue spoglie per il mondo. Iside, disperata, andò alla ricerca delle membra dell'amato e, una volta trovatele, le raccolse, le riunì e risuscitò il marito con un soffio. Osiride ascese al trono del regno dei morti e fu eletto giudice supremo dell'aldilà.
Questo racconto fa luce su una delle credenze più significative della religiosità egizia: quella nella sopravvivenza dopo la morte.

 

Il culto dei morti 

Gli antichi egizi credevano che ciascun uomo fosse dotato di un suo "doppio", chiamato ka, che permaneva dopo la morte come forza vitale. Il ka continuava a svolgere le funzioni essenziali della vita terrena, come mangiare, bere, lavorare i campi o, nel caso di alti dignitari, ricevere onori ed essere servito dagli schiavi.
Ecco perché il sepolcro doveva assomigliare in tutto e per tutto a una casa (o a una reggia, se si trattava di un faraone), contenere cibo e acqua sufficienti per  vivere, abiti e gioielli per vestirsi. Il corpo doveva rimanere intatto per potersi reincarnare: per questo si adottò la pratica della mummificazione.

 

Mastabe e piramidi 

Fin dall'antico regno, la forma di sepoltura più diffusa fu la mastaba (parola di origine arabo che significa "sedile" di fango). Essa consisteva in una piccola costruzione in mattoni essiccati al sole, formata da una parte sotterranea, contenente il sarcofago del defunto e il suo corredo, e da una parte in superficie, di forma rettangolare. Le pareti erano dipinte con scene raffiguranti la vita del morto e queste immagini, secondo la tradizione, avevano il potere magico di far resuscitare il defunto.
Accanto a queste costruzioni si sviluppò un'altra forma tombale: la piramide, la tomba regale per eccellenza. Dapprima si ebbero le cosiddette piramidi a gradoni, nate dalla sovrapposizione di più mastabe; poi, al tempo dei grandi faraoni Cheope, Chefren e Micerino, le piramidi vere e proprie. Si trattava di grandi costruzioni in pietra con una camera funeraria, il cui accesso era murato: vi si poteva accedere solo attraverso entrate e passaggi segreti.
Le piramidi sorgevano in un'area vasta, vicino ad altri grandi monumenti. Gli enormi blocchi di pietra, utilizzati per la loro costruzione, provenivano dalle cave ed erano trasportati lungo il fiume Nilo per oltre 800 km. Per compiere questi lavori era necessario mobilitare una gran massa di operai e di schiavi.

 

L'egittologia e la decifrazione dei geroglifici

 

Le prime notizie storiche sull'antico Egitto si ebbero in seguito alla spedizione militare di Napoleone (1798).
In Francia fu pubblicata (tra il 1809 e il 1828) un'opera in 23 volumi intitolata La descrizione dell'Egitto, in cui si riportavano i primi risultati degli studi francesi sulla scrittura egizia. Grazie a questa opera monumentale, l'egittologia (la scienza che studia l'antico Egitto) conobbe un notevole impulso.
Nel 1822 Jean-François Champollion annunciò una grande notizia: aveva decifrato i geroglifici egizi grazie alla Stele di Rosetta, una pietra rinvenuta sul delta del Nilo, che riporta incise tre iscrizioni: una in caratteri geroglifici (egizia), l'altra in caratteri demotici (anch'essa egizia), e la terza in lingua greca.
Per capire meglio l'importanza del lavoro di Champollion, bisogna sapere che fin dal IV millennio a.C. gli egizi avevano inventato una scrittura formata da segni particolari, che i greci chiamavano "geroglifici" ossia "segni sacri".
Essa rappresentava un'idea per mezzo di un disegno, tanto che molti ritengono più opportuno definirla scrittura ideografica. Più tardi l'idea venne espressa con delle figure corrispondenti alle singole lettere del nome (come se noi, per esempio, per scrivere la parola "cane" disegnassimo di seguito un cane, un'aquila, una nave e un filo d'erba).
Per i documenti amministrativi si usava il papiro, un vegetale che cresceva abbondantemente sulle sponde del Nilo, e ciò portò con il tempo all'elaborazione di una scrittura più veloce, la scrittura ieratica. Si trattava ancora di una scrittura geroglifica, ma più semplificata.
Successivamente fu adottata una scrittura ancora più rapida, che fu definita scrittura demotica, nella quale molti segni avevano valore solo fonetico.
La scrittura ieratica e demotica procedevano da destra verso sinistra, mentre quella geroglifica da sinistra verso destra (sistema detto bustofedico).
Dopo la decifrazione della lingua, gli studi di egittologia permisero di conoscere i particolari della storia dell'antico Egitto, attraverso la decifrazione dei documenti scritti e le continue scoperte archeologiche. Impegnati, tra gli altri, negli scavi presso i siti egiziani furono l'italiano G.B. Belzoni (1778-1823), e gli inglesi Carter e Carnarvon.
Questi ultimi nel 1922 scoprirono nella "Valle dei Re" le tombe di Tutankhamon e di Fayyum. Il Museo Egizio del Cairo e quello di Alessandria, hanno dato una forte spinta alla ricerca di archeologi ed egittologi.
In Italia va segnalato l'importante Museo Egizio di Torino, in cui sono conservati preziosi reperti dell'antico Egitto, testimonianze della grande magia di questa complessa civiltà.

 

Sumeri e Accadi

 

La Mesopotamia: il "paese in mezzo ai fiumi" 

 

L'area centrale del Vicino Oriente è attraversata da due fiumi, il Tigri e l'Eufrate, che sorgono dalle montagne armene e, dopo aver compiuto un percorso quasi parallelo, sfociano entrambi nel golfo Persico. Questa regione, chiamata dai greci Mesopotamia, ossia "terra in mezzo ai fiumi", era costituita da pianure alluvionali dal clima arido. Periodicamente i due fiumi entravano in piena, inondando le terre circostanti e rendendole estremamente fertili.
Data la sua posizione centrale, la Mesopotamia fu il crocevia di scambi commerciali, di popoli e razze diversi. Essa attirò, sin dall'antichità, numerose popolazioni che ne invasero il territorio a più riprese. Ciò rende più complessa la storia di questa regione.
I reperti archeologici rinvenuti a El Obeid (una collina vicino Ur) e a Uruk rivelano le caratteristiche dei primi abitanti della Mesopotamia.
Nel 4500 a.C. si diffuse la ceramica in tutta l'area. In prossimità dei fiumi sorsero i villaggi costituiti da case, magazzini e altri edifici, con un tempio nelle vicinanze. La cultura Uruk possedeva caratteristiche analoghe a quella dei sumeri: i creatori della cultura Uruk infatti scrivevano in sumerico.

 

I sumeri 

I sumeri giunsero in Mesopotamia nel 3200-2800 a.C. circa, stanziandosi nella parte meridionale della regione. Non si conosce con esattezza la provenienza di questo popolo: alcuni storici ritengono che essi fossero originari dell'India, ipotizzando una certa parentela con la cultura della valle dell'Indo. Nella nuova terra i sumeri poterono allevare il bestiame, coltivare la palma da datteri, utilizzare i metalli per fabbricare armi e strumenti per il lavoro nei campi. Fondarono nuovi villaggi che in poco tempo si trasformarono in città-stato, ciascuna retta da un sovrano.
Furono centri sumerici Uruk, Ur, Lagaæ e Nippur. Tra una città e l'altra scoppiarono spesso conflitti per il predominio sul territorio. Ne sono testimonianza le iscrizioni nelle quali si riportano le vittorie dei re e i canti di lamento dei sacerdoti per le atrocità belliche.

 

Lo stendardo di Ur

 

I numerosi scavi condotti nelle necropoli della città principali di Sumer hanno portato alla luce interessanti testimonianze. Uno dei reperti più significativi è il cosiddetto stendardo di Ur, probabilmente risalente al III millennio a.C, ritrovato in una tomba della città di Ur. Lo stendardo di Ur è formato da due pannelli che rappresentano scene di guerra e di pace attraverso le quali si possono ricavare informazioni utilissime sulla vita del re, del popolo e dei popoli vinti. Particolari sono la lavorazione e la decorazione con pietre preziose.

 

La società sumerica 

Il sovrano o lugal ("uomo grande") era  principe politico, sommo sacerdote e capo dell'esercito. Il fulcro della vita politica, religiosa ed economica era il tempio, che sorgeva al centro della città. Si trattava di una costruzione in mattoni poggiante su piattaforme. Le pareti dell'edificio erano puntellate da "chiodi" fatti con argilla di diversi colori.
Il re amministrava la città insieme ai sacerdoti, imponendo tributi e lavori pesanti agli artigiani e ai contadini, tenuti in una condizione di semilibertà. La ricca produzione artigianale e agricola impegnava quasi tutta la popolazione che lavorava per lo stato ricevendo in cambio razioni alimentari o utensili. Poco diffusa era la proprietà privata.
Progressivamente il sovrano si circondò di un apparato amministrativo, al quale erano affidati l'esazione dei tributi e il controllo sulle masse periferiche. Ciò portò alla necessità di ideare un sistema di scrittura che fu inizialmente di tipo ideografico e in un secondo momento cuneiforme (segni astratti incisi su tavolette di argilla molle).
Per quanto riguarda la lingua parlata dal popolo dei sumeri, va riscontrata la sua caratteristica di lingua isolata, cioè priva di legami con le famiglie linguistiche oggi note, anche se alcuni studiosi sono concordi nel riconoscere in essa una certa affinità con il turco antico.  Appare quantomeno verosimile che la sua utilizzazione nella stesura di testi letterari abbia avuto inizio nella prima metà del III millennio.

 

La ziqqurat

 

La civiltà sumerica è caratterizzata da diversi elementi culturali e artistici, tra i quali non si possono dimenticare le tipiche torri, a gradini degradanti e di proporzioni gigantesche, che venivano utilizzate come templi. Le ziqqurat, così i sumeri chiamavano questi particolari edifici, fungevano, all'interno della città, da luogo di culto e da luogo di scambio economico. Infatti nel tempio si raccoglievano le merci e le offerte dei sudditi necessarie al mantenimento dei sacerdoti. Da questi dipendeva l'amministrazione della città, la direzione delle varie attività agricole, artigianali e commerciali. Essi si limitavano semplicemente a "concedere" le terre, di proprietà divina, ai contadini affinché le lavorassero. La parte più alta del tempio nella quale era collocata la statua della divinità era riservata al culto. Inizialmente le divinità più venerate erano Enlil, An ed Enki. In seguito a questa trinità si affiancarono Utu, il dio del Sole, Nanna, dio della Luna e Inanna, dea dell'amore. La ziqqurat era utilizzata dai sacerdoti anche come osservatorio astronomico: essi infatti studiavano il movimento delle stelle e dei pianeti per stabilire il momento della semina e della raccolta.
Purtroppo questi templi, come tutti gli edifici della civiltà sumerica, essendo stati costruiti con mattoni di argilla cruda, non si sono conservati a lungo e oggi ne rimangono solo pochi resti.

 

I sigilli a cilindro e la scrittura

 

Un'importante testimonianza dell'alto livello di civiltà raggiunto dai sumeri e dai popoli mesopotamici in generale è la diffusione dei sigilli cilindrici del diametro di 3-4 cm e dell'altezza di 8-10 cm. Questi cilindri si facevano scorrere sull'argilla, ottenendo così un'immagine che poteva essere ripetuta innumerevoli volte. Le incisioni rappresentavano scene mitologiche e documentano sulle credenze religiose dei sumeri. I sigilli vennero utilizzati per contrassegnare anfore, giare e oggetti di proprietà custoditi nei templi. Dalla necessità di registrare e amministrare le entrate e le uscite di prodotti dal tempio nacque probabilmente l'esigenza di elaborare un sistema di numerazione e di scrittura.
Negli scavi archeologici di Uruk sono state ritrovate moltissime tavolette di argilla (prima incise con gli stili e poi fatte seccare al sole), riportanti gli ideogrammi della scrittura cuneiforme.
Significative sono le "liste" compilate dai sumeri con utilizzo di differenti ideogrammi in cui si tenta una classificazione di tutti gli esseri viventi, animali e vegetali, e di tutte le attività umane: esse fanno luce sulla visione del mondo propria di questo popolo. Importanti, da un punto di vista storico, sono gli elenchi dei re stilati dagli stessi sumeri, anche se spesso hanno creato qualche perplessità agli studiosi per l'accostamento successivo di dinastie che regnarono contemporaneamente in altre città.
Al popolo sumerico infine si deve l'invenzione del sistema numerico sessagesimale, basato sulle fasi lunari.

 

I re sumeri  

A partire dal 2800 fino al 2500 a.C., un periodo che gli storici definiscono protodinastico, alcuni semiti penetrarono nell'area mesopotamica abitata dai sumeri e si mescolarono a questi.
Un poema composto in epoca posteriore narra che nel 2700 a.C. il re di Kish, Mesilim, intimò al re di Uruk, Gilgamesh, di sottomettersi. Va forse attribuita ai conflitti tra i due re la costruzione di mura di cinta attorno a Uruk.
Nel 2500 a.C. salì al trono di Ur, Mesannepadda, fondatore della prima dinastia di questa città. A Ur nel 1922 l'archeologo Wolley ha scoperto una serie di tombe di sovrani accanto a quelle delle loro spose (forse sacerdotesse) risalenti proprio a questa epoca.
Nel 2500 a.C. a Lagaæ sorse la dinastia fondata da Ur-Nanæe, il quale riuscì a contrastare e a sottomettere i sovrani di Kish. A Ur-Nanæe successe il figlio Eannatum, di cui parlano le incisioni della Stele degli Avvoltoi. Dopo di lui salì al potere Entemena, ma questo venne usurpato da Lugalanda con il sostegno della casta sacerdotale. Contro Lugalanda si scagliò Urukagina, che riuscì a strappargli il trono e avviando in seguito alcune riforme religiose per indebolire il potere dei sacerdoti. La casta sacerdotale si rivolse allora al re di Umma, Lugalzaggisi, che con una spedizione militare occupò Lagaæ, Ur, Uruk, Larsa, Kish e Nippur, arrivando sino alle coste del Mediterraneo (2370 a.C.). Con Lugalzaggisi si realizzò la prima unificazione dell'intero paese sotto i sumeri.
Ma il dominio di Lugalzaggisi ebbe breve durata: infatti solamente venti anni dopo l'unificazione, una nuova potenza, quella accadica, si impose su tutte le città della Mesopotamia meridionale, scacciando il re di Umma.

 

L'impero accadico e il crollo della civiltà sumerica 

Gli accadi, un forte popolo di stirpe semita guidato dal re Sargon, costituì un grande impero, che comprendeva oltre ai territori della Mesopotamia, una porzione della Siria e dell'Asia Minore, e la regione di Elam. Capitale dell'impero fu Akkad. Sargon concentrò tutto il potere nelle sue mani e, alla sua morte, lo trasmise al figlio, Naramsin, il quale rafforzò il dominio accadico sui territori conquistati, combattendo in Arabia e sui monti Zagros (Asia occidentale).
Per poter governare un così vasto territorio Naramsin costituì un esercito stabile e nominò molti funzionari con il compito di controllare i sudditi e di riscuotere da essi i tributi.
Le tavolette incise, redatte in accadico e in sumerico, dimostrano che gli accadi furono abbastanza tolleranti nei confronti dei popoli sottomessi.
In ultima analisi l'impero accadico seppe assimilare la cultura sumerica sviluppandone pienamente tutte le aspirazioni. Inoltre riuscì a creare modelli culturali originali e significativi, come la concezione di una "monarchia universale", realizzata da Sargon. Uno degli aspetti culturali più rilevanti di questa civiltà fu la concezione religiosa di tipo astrale, dalla quale era nata una ricca documentazione riguardante la mitologia delle grandi divinità. Accanto a essa si sviluppò un'importante tradizione epica (famosa la narrazione delle gesta di re Sargon), che ispirò gli scritti letterari.
Sul piano artistico la civiltà accadica raggiunse un notevole livello, come dimostra la bella testa barbuta raffigurante probabilmente lo stesso re Sargon.
La cultura accadica fu distrutta dai gutei, una tribù nomade stanziata nell'altopiano iranico, considerata rozza e bellicosa dai popoli della pianura. Essi riuscirono a imporre il loro incontrollato dominio per circa un secolo, ma furono sopraffatti e cacciati nel 2050 a.C. dal principe di Uruk, Utukhegal.

 

Rinascita neosumerica 

I nuovi sovrani dell'età neosumerica riunirono in sé il titolo di "re di Sumer" e di "re di Akkad." Questo titolo, inaugurato da Urnammu, fu adottato anche dal suo successore Shulgi, che estese il potere sumerico alle regioni orientali e  a quelle occidentali. Durante questo periodo di rinascita della civiltà sumerica fu redatto il primo codice di leggi scritte. Inoltre si ricostruirono gli edifici sacri che erano stati distrutti dai gutei. Le città tornarono a fiorire, ricomponendo le proprie forze economiche.
Il periodo di rinascita non si protrasse a lungo: intorno all'anno 2000 a.C. un'altra popolazione di stirpe semita, gli amorriti, giunse nella regione mesopotamica, sconfiggendo definitivamente la popolazione sumera.
La scomparsa del regno di Sumer portò al conseguente frazionamento dei diversi territori che erano sotto il governo di varie città. Tra queste emerse la città di Babilonia, che era destinata a diventare il centro di una nuova potenza.

 

Assiri e Babilonesi
Il regno assiro antico 
Nel 2500 a.C. un popolo forte e agguerrito occupava la regione dell'Alto Tigri, dando origine alla cultura assira. Si trattava di gruppi misti, che comprendevano elementi di Tell Alaf (Siria) e genti semitiche. Questa nuova popolazione venerava il dio Assur, dal cui nome fecero derivare quello della loro città principale e quello dell'intero regno. Ben presto i centri cui essi avevano dato vita prosperarono, tanto da produrre un cospicuo numero di colonie commerciali nell'Anatolia settentrionale, come testimoniano i documenti in lingua assira trovati in quella regione.
Intorno al 1800 a.C. gli assiri conquistarono tutta l'area settentrionale babilonese, approfittando del crollo della III dinastia di Ur. Ma improvvisamente il regno assiro subì una crisi economica, dovuta al calo dei commerci con l'Anatolia.
Gli ittiti, una civiltà indoeuropea che da tempo aveva iniziato il suo cammino verso il Vicino Oriente, avevano invaso quei territori, rendendo praticamente impossibili i traffici assiri con il Nord. La situazione economica si ricompose nel corso del XVIII secolo a.C., quando grazie al re Shamshi-Adad I (1749-1717 a.C.), Assur impose il proprio dominio su una vasta area che dai territori a nord del Tigri si estendeva fino alle regioni della Mesopotamia, comprendendo anche la città di Mari. Per sottolineare il carattere assoluto del suo regno, Shamshi-Adad I si fece chiamare "Re del Tutto". Nominò i suoi due figli viceré delle città di Ekallatum e di Mari.

 

La decadenza e la rinascita assira 

La morte del sovrano assiro e l'ascesa al trono di Babilonia del re Hammurabi segnarono un sovvertimento della situazione siro-mesopotamica. Il re babilonese, attraverso una politica assai abile, conseguì l'unificazione di tutta la Mesopotamia, ottenendo successi anche nei confronti dell'Assiria. Sottomessi da Hammurabi, gli assiri attraversarono un periodo di decadenza, che durò fino al 1400 a. C. circa, quando essi ripresero le campagne militari espansionistiche, ricostituendo il loro impero.
A partire dal 1000 a.C. gli assiri dominarono per un lungo periodo (circa 350 anni) su tutta la valle del Tigri e dell'Eufrate. Il loro feroce e temutissimo esercito compì scorrerie e devastazioni nell'area del Vicino Oriente e del bacino del Mediterraneo, divenendo il terrore degli abitanti di quei territori.

 

Il nuovo impero assiro 

Il nuovo impero assiro, la cui durata convenzionalmente è collocata tra l'883 e il 612 a.C. tornò ad avere il controllo dei commerci con l'Asia occidentale. Inevitabile fu lo scontro con i popoli e le potenze situate intorno ad Assur. I più immediati oppositori furono gli ittiti e gli hurriti (popoli del lago di Van) che si allearono contro gli assiri.
I re assiri avevano organizzato magistralmente il loro esercito, perfezionando la cavalleria con arcieri e lancieri in sella, dotandoli di una forza offensiva non inferiore a quella del carro da combattimento. Inoltre inventarono macchine per l'assedio particolarmente efficaci, come gli arieti. Si trattava di pesanti strutture, provviste di ruote e di un robusto rostro di metallo, che venivano spinte dai guerrieri, situati all'interno, contro le porte o le mura delle città fortificate al fine di abbatterle.
L'influenza assira raggiunse il Mediterraneo con il re Assurnasirpal II (883-859 a.C.). Il suo regno si distinse per le campagne militari vittoriose, accompagnate sovente da terribili rappresaglie contro i vinti. Egli consolidò la potenza di Assur e costrinse i popoli delle regioni montuose e costiere a versare ingenti tributi. Sotto di lui la capitale fu spostata da Ninive a Nirmud, città nella quale impiegò largamente manodopera fenicia per la costruzione di un tempio.
Il successore di Assurnasirpal, il figlio Salmanassar III (858-824 a.C.) continuò la politica del padre con lo scopo di sottomettere tutta la Mesopotamia. Abile stratega, egli riuscì a impedire che gli stati del nord si alleassero con quelli del sud. A questo scopo intraprese una serie ininterrotta di campagne militari contro le maggiori città settentrionali. Inoltre penetrò nella Mesopotamia meridionale e conquistò Babilonia. Infine si volse contro il regno di Urartu, divenuto molto potente dopo la caduta del regno di Mitanni, e ne saccheggiò la città reale. Salmanassar combatté a lungo anche in Ooccidente contro i re della Siria e della Palestina.

 

Il culmine della potenza assira 

La sistemazione definitiva dei territori soggetti ad Assur fu attuata dal re Tiglatpileser III (744-727 a.C.) che unificò tutti i possedimenti sotto il suo potere.
Le terre sottomesse furono affidate a un governatore e gli abitanti di queste furono costretti a pagare notevoli tributi. Tutti i tentativi di ribellione furono duramente puniti, talvolta anche con la deportazione di intere popolazioni in zone lontane dell'impero.
Questa politica bellica continuò anche con i successori: Salmanassar V (726-722 a.C.) assediò Tiro e Samaria; mentre, Sargon II (721-705 a.C.) ridusse a provincia molti territori, soggiogando tutti gli oppositori dell'impero in occidente. Ma ben presto cominciarono a esplodere le ribellioni delle città sottomesse che mal tolleravano la crudele tirannia degli assiri. Una violenta rivolta scoppiò a Babilonia, ma il re Sennacherib (704-681 a.C.) la soffocò nel sangue. Babilonia, oltre a subire un crudele saccheggio, fu interamente rasa al suolo.
Il nuovo re Asarhaddon (680-669 a.C.) si preoccupò di riportare la pace nel suo regno, ordinando la ricostruzione di Babilonia. Asarhaddon riuscì anche a stabilire l'autorità assira su cimmeri, sciti e medi, popolazioni che premevano da nord e da est sull'Asia occidentale, vincolandoli alla fedeltà e alla sottomissione con una serie di trattati.
Con la conquista dell'Egitto (671 a.C.) fino a Menfi, l'impero assiro raggiunse il culmine della sua potenza.
Sotto il nuovo impero assiro in tutta l'area geografica compresa tra il Mediterraneo e la valle del Tigri fu raggiunta un'unità linguistica, nella quale si affermò l'aramaico, un idioma non solenne, dalla scrittura alfabetica semplificata, che fu adottato in quasi tutta la Mesopotamia e divenne con i persiani la lingua più importante nelle relazioni diplomatiche tra i popoli.

 

L'organizzazione dello stato assiro

 

A capo della struttura dello stato assiro vi era, oltre il sovrano, il tartan, ossia "colui che segue"; sotto di lui vi erano poi alti dignitari come, per esempio, il capo del palazzo reale e il capo militare.
Il regno era suddiviso in province governate da funzionari del re. Tiglatpileser III creò all'interno di ciascuna provincia numerosi distretti, nominando direttamente i governatori e abolendo l'ereditarietà dell'incarico vigente nel sistema babilonese, in questo modo l'incarico non poteva essere tramandato ai propri discendenti. Avendo spezzato la tradizione politica dei regni nemici con la creazione di governatori nelle province, gli assiri soffocarono le spinte nazionalistiche delle varie popolazioni della Siria e dell'Asia Minore. Inoltre, essi attuarono una sistematica dispersione delle unità etniche con le deportazioni di massa.
In questo modo riuscirono a debellare le rivolte e a incrementare la popolazione in certe zone dell'impero, dove si riteneva più facile l'assimilazione della cultura assira.

 

Il crollo dell'impero 

Con Assurbanipal (668-627 a.C.) cominciò a verificarsi lo sfaldamento del potere assiro soprattutto nelle zone orientali dove il controllo era stato più debole perché non erano mai state create delle province con governatori assiri.
L'azione militare del sovrano si rivolse dapprima contro l'Egitto in rivolta, riuscendo a riconquistarlo. Subito dopo affrontò i cimmeri e gli elamiti. L'alleanza tra i medi (guidati da abili condottieri come i re Fraorte e Ciassare) e Babilonia, retta da Nabopolassar, mise l'impero assiro in ginocchio. Nel 614 a.C. i due popoli alleati saccheggiarono Assur e Nirmud, distruggendo due anni dopo anche Ninive (612 a.C.).

 

La struttura sociale assira 

Nella struttura sociale assira, l'unica classe che aveva un effettivo ruolo politico era quella delle grandi famiglie dell'aristocrazia terriera che forniva i funzionari per l'amministrazione delle province. La maggior parte della popolazione che abitava nelle città era costituita da una classe media di uomini liberi impegnati generalmente in attività commerciali e artigianali. Infine vi erano i piccoli proprietari terrieri e i dipendenti dei latifondisti che erano addetti al lavoro dei campi. I cittadini liberi erano raccolti in corporazioni di mestieri capeggiate da un funzionario incaricato di riscuotere le tasse e di occuparsi del servizio militare.
Il popolo assiro fu diretto protagonista di numerose e massacranti battaglie e proprio l'intensa attività bellica sostenuta dai re assiri provocò a un certo punto una crisi di manodopera nelle campagne, tanto da rendere necessaria l'immissione forzata di gruppi etnici stranieri.
Il palazzo rimase sempre al centro della vita economica della città. Certamente gli ingenti bottini bellici aumentarono il livello di benessere materiale della popolazione, ma d'altro canto fecero oscillare i prezzi, provocando una grande instabilità. La circolazione della moneta era essenziale per il mantenimento della buona organizzazione dei centri assiri. Ma la cultura urbana si reggeva sui proventi delle altre città, così, quando queste riuscirono a conquistare la loro libertà e si resero indipendenti, la cultura urbana regredì sensibilmente, trasformandosi in economia agricola di villaggio.

 

Il regno elamita 

Il regno dell'Elam, sviluppatosi nel territorio corrispondente alla parte occidentale dell'altopiano iranico, passò da periodi di libertà ad altri di sudditanza sotto i potenti vicini sumeri, accadici e babilonesi. Conobbe, però, una fase di grande floridezza intorno al 1100 a.C., sotto il re Shutruk-Nahhunte, che conquistò anche Babilonia, trasportando a Susa, capitale del regno, molti tesori dei vinti. Nel 640 a.C. Assurbanipal sconfisse il regno dell'Elam e in questo modo pose fine alla sua egemonia.
La civiltà elamita diede luogo a una cultura originale. Gli scavi hanno portato alla luce oggetti in ceramica decorati con immagini vivaci di pesci e di uccelli. Anche i sigilli a cilindro sono ricchi di rappresentazioni che traggono ispirazione dalla mitologia mesopotamica. Questa comunità ebbe carattere sia urbano che agricolo. Frequenti erano sia i banchetti funebri sia le cerimonie religiose, dai rituali molto complessi.
L'esempio artistico più rilevante della cultura elamita è la colossale statua in bronzo della regina Napir-Asu , risalente al XIII secolo a.C., oggi conservata al Louvre di Parigi, che ci è pervenuta purtroppo acefala e della quale ci colpisce il delicato panneggio, soprattutto nella frangia in fondo ai piedi.

 

Babilonia e il regno di Hammurabi  

Tra le città dell'antica Mesopotamia, Babilonia era una delle più potenti e prospere. Per ottenere il predominio sull'area centrale del Vicino Oriente, rivaleggiò a lungo con Larsa, Eshnunna, Qatna, Yamkhad e Assur. Strinse alleanze con Larsa in funzione antiassira, scontrandosi anche contro gli elamiti e gli ittiti. Raggiunse il culmine della sua potenza sotto il grande re Hammurabi (1792-1750 a.C.), che unificò la Mesopotamia, sottomettendo le città rivali sotto il suo impero. Hammurabi, il più grande re della prima dinastia babilonese, assunse il titolo di "re di Sumer e re di Accad" e di "re delle quattro regioni". Egli si adoperò affinché l'ideale di una monarchia universale proprio dei sovrani accadici si conciliasse con la concezione neosumerica del potere.
Grazie ad Hammurabi, Babilonia divenne un importante centro di affari e sviluppò scambi con il Vicino Oriente, l'Egitto e l'Anatolia. Un'efficiente burocrazia, retta dal sovrano, controllava la vita economica dei territori dell'impero e vigilava sul loro ordine interno.

 

La "legge del taglione" nel Codice di Hammurabi 

Una volta consolidato il suo potere, Hammurabi redasse un ordinamento di leggi per regolare in modo uniforme la vita dei cittadini di tutti i paesi del suo impero. Nacque così il Codice di Hammurabi, ritrovato a Susa nel 1901, attraverso il quale venivano ordinate le questioni civili, penali e amministrative.
Le pene venivano formulate sulla base della "legge del taglione" allo scopo di vendicare la persona offesa. Dalle norme scritte si ricava l'idea di una società gerarchizzata, dominata da grandi diseguaglianze sociali: al primo posto vi era il sovrano, con la sua famiglia; poi i funzionari del re che controllavano le regioni occupate; seguivano i sacerdoti che svolgevano solo compiti religiosi; infine vi erano i cittadini liberi, i servi del palazzo e del tempio e gli schiavi. La differenza tra le classi era sottolineata dell'attribuzione delle pene, che erano più o meno dure a seconda del grado sociale a cui il reo apparteneva.

 

La cultura babilonese

 

L'unità politica della Mesopotamia, raggiunta sotto la guida di Babilonia, contribuì a elevare  in modo significativo il ruolo culturale e artistico di questo grande centro. Nella brillante scuola di scribi e teologi, sviluppatasi nella città, si compilarono numerosi testi, dei quali ci sono pervenuti alcuni frammenti, scritti in lingua sumerica e in lingua accadica:  la lingua sumerica,  dunque,  sopravviveva accanto a quella accadica come lingua di culto;  la scrittura  era cuneiforme.
Tra questi vi sono i testi divinatori o dell'arte della divinazione, che è una pratica che si diffuse in tutto il Vicino Oriente, e i testi di medicina, composti da lunghi elenchi di "occasioni divinatorie" riferite a casi singoli. Gli scrittori della scuola babilonese rielaborarono l'epopea di Gilgamesh secondo il loro gusto e la loro visione del mondo. Il poema venne ampliato e arricchito di argomenti nuovi. Toccante è il racconto del rapporto inizialmente di conflitto e poi di amicizia tra Gilgamesh ed Enkidu. Morto Enkidu, Gilgamesh va alla ricerca dell'immortalità. Accanto a questa grande epopea si colloca quella della creazione, in cui i protagonisti fanno parte di un mondo divino dagli aspetti fantastici e terribili. Il poema ci è giunto in diverse stesure (quella di Ninive, di Babilonia, di Assur) e contiene la rievocazione del mito del dio Marduk, che dopo aver vinto sulla creatura primordiale e indistinta di Tiamat, ottenne dagli dèi il potere di creare il cosmo e le cose in esso contenute. Attraverso questa vittoria si attuò il passaggio dall'indistinto al distinto, dal disordine all'ordine universale.

 

La religione

 

La mitologia cosmogonica, creata dall'epopea della creazione non eliminò le vecchie tradizioni tramandate dai testi rituali e magici. Queste continuarono a sussistere in tutto l'impero per contrastare, attraverso pratiche scaramantiche, l'azione dei demoni maligni. Nel periodo della prima dinastia babilonese la religione esprimeva la profonda angoscia dell'uomo dinanzi al divino, ritenuto una potenza terrificante: il culto, allora, aveva lo scopo di ottenere il favore del dio al quale venivano rivolti invocazioni e sacrifici.
Per superare questo infinito distacco tra l'uomo e dio, i babilonesi concepirono l'idea di più divinità fungenti da intermediari con l'assoluto. I teologi e i sacerdoti identificavano gli astri e le costellazioni con le divinità, ritenendo che il movimento dei corpi celesti influenzasse il destino degli uomini. Inoltre le diverse divinità vennero associate tra loro: furono così costituite le triadi divine, tra le quali si distingueva quella celeste formata da Shamash (il dio Sole), da Sin (la dea Luna) e da Isthar (la dea Venere).
Si diffusero i culti delle divinità astrali dalle caratteristiche sempre più astratte: tra essi il più importante fu quello di Marduk, il dio di Babilonia.

 

L'arte

 

In campo artistico i babilonesi subirono l'influenza dello stile sumerico e accadico. L'arte rispecchiava in tutto e per tutto la vita delle classi dominanti. Le rappresentazioni svolgevano un ruolo didascalico e miravano a incutere nel popolo rispetto e timore verso le autorità. Ai babilonesi si deve anche l'introduzione dell'arco (elemento a linea curva che poggia su due elementi verticali) e della volta (struttura di superficie curva), due elementi architettonici innovativi, che passarono in seguito ai romani e al mondo moderno. I babilonesi eccelsero nell'osservazione dei corpi celesti e nel loro relativo studio. Crearono un calendario e per misurare il tempo utilizzarono la meridiana a muro e la clessidra. Le conoscenze matematiche e astronomiche dei babilonesi furono di grande importanza per lo sviluppo del pensiero scientifico successivo: essi introdussero, infatti, il sitema  sessagimale per la misurazione, per esempio, degli angoli e delle ore.

 

Il declino babilonese e il periodo cassita 

Con la morte di Hammurabi Babilonia perse il suo antico splendore. Intorno al 1500 a.C. ittiti, cassiti, urriti ed elamiti, conquistarono vasti territori sconvolgendo l'impero babilonese. Le grandi città furono saccheggiate dagli ittiti, poi caddero in mano ai cassiti che occuparono i territori babilonesi per circa quattro secoli, e cioè fino al 1160 a.C..
I re cassiti diedero maggior vigore alle tendenze accentratrici manifestate dalla prima dinastia babilonese, dando vita a  un sistema politico ed economico più rigido. Crearono un sistema feudale che favorì in modo particolare i capi dell'esercito, ai quali furono concesse in premio parte delle terre conquistate. Una testimonianza di ciò sono le cosiddette "pietre di confine", sulle quali venivano incisi i testi delle donazioni reali.
Durante la dominazione cassita, Babilonia riebbe la statua del dio Marduk che era stata sottratta dagli ittiti: il culto del dio Marduk divenne prevalente in tutta la Mesopotamia. Sul piano letterario ampia è la documentazione realizzata in questo periodo dagli scribi, che immortalarono le opere della cultura precedente, contribuendo all'espansione e alla diffusione della lingua semitica. La lingua accadica fu preferita a quella sumerica in campo scientifico, soprattutto per redigere manuali di medicina.

 

Nabucodonosor e il nuovo regno babilonese 

Con il crollo dell'impero assiro, Babilonia riacquistò la sua indipendenza, giungendo con Nabucodonosor II, nel 604 a.C. a dar vita a un nuovo impero. L'impegno di Nabucodonosor fu volto essenzialmente a ricostruire Babilonia, devastata dai saccheggi. A lui si devono la porta di Ishtar, il santuario di Esagila e la ziqqurat Etemenanki (la mitica torre di Babele, alta circa 90 m).
Nel 587 a.C., Nabucodonosor, dopo aver occupato Gerusalemme, ordinò la distruzione della città e la deportazione degli ebrei. Il suo regno, però, era reso instabile dalla presenza di una forte casta sacerdotale, dedita al culto del dio Marduk e desiderosa di influire nella direzione politica del paese. I sacerdoti tramarono contro il sovrano nel 555 a.C  e nominarono, al suo posto, Nabonide. Questi, tuttavia, non favorì gli interessi della casta sacerdotale.
I sacerdoti risposero fomentando il malcontento, che sfociò in aperta rivolta. Nabonide fuggì; gli succedette il figlio Balthassar, ma il suo governo non durò a lungo: nel 539 a.C. il re persiano Ciro occupò la città di Babilonia grazie anche al sostegno dei sacerdoti e mise fine all'impero babilonese.

 

La città di Mari 

Una missione archeologica francese identificò, nel 1933, l'antica città-stato di Mari, situata lungo il fiume Eufrate. Le oltre 20 000 tavolette d'argilla ritrovate nel palazzo reale, scritte in caratteri cuneiformi, permisero di ricostruire le vicende storiche degli abitanti di quello stato. Il periodo più florido della città fu quello cosiddetto "dei re", come dimostra il ritrovamento del palazzo reale, una sontuosa residenza con più di 200 stanze, con numerosi cortili dalle pareti affrescate, in cui spicca la scena della dea Ishtar che poggia un piede su un leone in segno di dominio. Il buon funzionamento del palazzo era basato sul lavoro di molte persone (magazzinieri, amministratori, domestici) al servizio del re. Il periodo più importante della storia di questa città è contemporaneo allo sviluppo della prima dinastia babilonese intorno al 1700 a.C. Anche la sua decadenza è parallela a quella della città di Babilonia. Tutto ciò ci è testimoniato dalle molte lettere scritte verso 1760 a.C. dal re Zimrilin ad Hammurabi, nelle quali si fa riferimento alle condizioni sociali e politiche di questo regno, alla ricerca di un proprio equilibrio tra le diverse potenze di quel periodo.

 

La città di Ebla 

Scavi archeologici italiani effettuati in Siria intorno agli anni Settanta hanno portato alla luce l'antichissima città di Ebla e
un ricco archivio reale del III millennio a.C. Di essa si avevano notizie attraverso documenti assiri, ma incerta risultava la sua posizione geografica.
Dopo l'ultima distruzione, avvenuta intorno al 1650 a.C., la città era scomparsa sotto spessi strati di polvere e di fango, che ne avevano fatto perdere ogni traccia. È stato quindi un fatto sorprendente l'aver ritrovato il palazzo reale, il grande tempio e la grande cinta muraria. Le moltissime tavolette d'argilla, scritte in lingua sumerica e in lingua eblaita (lingua del ceppo semitico), di carattere amministrativo, giuridico e religioso hanno permesso di ricostruire la storia e la società di questa città.
Ebla, posta al centro di importanti piste carovaniere, dominò su un vasto territorio, comprendente le regioni della Siria, dell'Anatolia e della Mesopotamia settentrionale. Come tutti i centri mesopotamici fu una città-stato, governata da un re privo però di potere assoluto. Il sovrano infatti restava in carica solo per alcuni anni ed era coadiuvato da un consiglio di anziani. Efficiente e molto sviluppata, la burocrazia esercitava il controllo delle tasse e l'amministrazione della città. Ebla, situata in una zona desertica, non sviluppò mai un'agricoltura avanzata. Al contrario la sua economia si basò sull'allevamento ovino che consentì una abbondante produzione di lana e un fiorente artigianato di tessuti, venduti dai mercanti in occidente e in oriente. Intorno al 2400 a.C. Ebla conobbe il suo massimo splendore in un'epoca anteriore all'impero di Assur. Fu Sargon, imperatore di Assur, a minare la solidità del regno di Ebla, sottraendo a questo una parte consistente dei suoi commerci. I successori di Sargon conclusero l'opera distruggendo la città. Più tardi il vuoto di influenza sui territori siriani lasciato da Ebla fu colmato dalla città di Aleppo, sotto gli amorriti, che non riuscirono però a creare un regno duraturo.

 

 

Cassiti e Mitanni

 

Il regno cassita 

Dalle montagne dell'Iran intorno al 1580 a. C. scese la tribù dei cassiti, che invase la Mesopotamia meridionale e instaurò il proprio dominio. La città di Babilonia fu scelta come capitale del regno e continuò a svolgere un ruolo molto importante sul piano religioso e culturale. Dal punto di vista economico invece le continue guerre esterne e le rivolte interne  furono una causa determinante della decadenza di questo antico centro. Durante il regno cassita l'organizzazione burocratica fu capillare: il territorio venne suddiviso in numerosi distretti, più fitti a nord che a sud, per controllare meglio le zone periferiche.
L'amministrazione dei distretti fu affidata a un governatore, nominato dal sovrano, con il compito di curare il mantenimento delle strutture materiali (per esempio il sistema dei canali, la regolamentazione delle acque, la manutenzione delle strade ecc.) e amministrare i beni per conto del re.
La struttura sociale fu modificata profondamente, perché, attraverso donazioni territoriali, concesse dal sovrano ai guerrieri valorosi, come ricompensa delle loro azioni di guerra, si affermò una nuova classe aristocratica di tipo feudale, legata al re da rapporti di personale e diretta sudditanza.
I re cassiti accentuarono le tendenze accentratrici esistenti nella prima dinastia babilonese, creando un sistema politico ed economico decisamente più rigido. Anche l'economia si modificò e non fu più "templare" (cioè direttamente dipendente dal tempio), ma dipese direttamente dal palazzo, sotto lo stretto controllo dei funzionari del re.
Espressione tipica di tale sistema feudale instaurato dai cassiti sono i caratteristici monumenti chiamati kudurru, cioè pietre di confine, sulle quali venivano incisi i testi delle donazioni reali.

 

La religione cassita 

Per quanto riguarda la sfera della vita religiosa, i cassiti si rifecero alle tradizioni dei culti mesopotamici. Essi infatti mostrarono grande venerazione per quelle divinità, tanto che si dedicarono con cura a restaurare i templi delle città principali come quello di Ur.
Fecero in modo anche di riportare nella città di Babilonia la grande statua che rappresentava il dio Marduk, sottratto in precedenza dal popolo degli ittiti.
Si verificò con i cassiti che il culto del dio Marduk divenne il più diffuso in tutta la Mesopotamia.
Nei testi che sono stati tramandati si hanno testimonianze interessanti sulla concezione religiosa dei cassiti: in essi risaltano un atteggiamento più pensieroso e alcune delle riflessioni (più tristi) sulla condizione umana.
Se durante l'età babilonese, a causa della coscienza del distacco esistente tra l'uomo e la divinità, si era esaltata la felicità terrena, come reazione alla miseria dello stato umano, nell'età cassita, al contrario, si fa strada la concezione del "peccato"(che sarà ampiamente sviluppata in età successiva), inteso come colpa e come causa responsabile della condizione e delle sorti umane.
Si matura così in questo periodo la concezione babilonese di un mondo governato da grandi dèi e turbato da forze demoniache contro le quali continuano a sopravvivere le pratiche magiche.

 

La cultura cassita 

Sul piano letterario ampia è la documentazione realizzata dagli scribi, che rese solenni le opere della cultura babilonese precedente. Ciò contribuì all'espansione e alla diffusione della lingua semitica che divenne la lingua internazionale del mondo antico. La lingua accadica fu invece preferita a quella sumerica in campo scientifico, soprattutto per redigere manuali di medicina.
Ma fu nel campo artistico in cui i cassiti prevalsero per i caratteristici kudurru (già ricordati in precedenza) finemente lavorati con belle immagini, rappresentanti le divinità, sotto le quali si poneva l'inviolabilità del confine.
Questi monumenti, insieme ai sigilli, ricchi di scene e di rappresentazioni mitologiche, ci offrono una miniera di notizie sulla religiosità di questo popolo e costituiscono le più rilevanti testimonianze rimaste di Babilonia al tempo della civiltà cassita.

 

Le invasioni degli hurriti 

Genti provenienti dall'Asia, dalla individualità etnica molto incerta, si stanziarono tra il 1700 e 1500 a.C. nella Mesopotamia settentrionale e nella Siria, dove svolsero un ruolo significativo sul piano politico e culturale.
Così il popolo degli hurriti (questo il loro nome) appare stanziato per lo più in centri orientali della Mesopotamia, come come per esempio Nuzi.
Secondo l'esito delle approfondite ricerche condotte dagli studiosi, lo spostamento di queste genti del nord avrebbe provocato a sua volta lo spostamento verso sud del popolo dei cassiti.
Purtroppo poco si sa del popolo degli hurriti sia a causa della loro lingua, ancora piuttosto oscura, sia per la scarsità dei documenti. Si conoscono invece con sicurezza alcuni nomi di sovrani di origine ario-europea che comandarono su questo popolo. Ciò dimostra che oltre all'avanzata degli hurriti si ebbero altre incursioni di popoli arii (nomadi che si stanziarono nella regione indo-iranica dai quali discendono gli indiani e gli iranici), dei quali sappiamo poco per scarsità di documenti e per difficoltà linguistiche. Essi si stanziarono in maggioranza a Nuzi in Assiria nella parte est del fiume Tigri e in piccola parte nell'Anatolia meridionale. Alcuni studiosi sostengono che a questa espansione (della quale quasi nulla ci è noto) degli hurriti in tutta la Mesopotamia del nord, corrisponda la discesa del pololo dei cassiti (dei quali abbiamo già detto) nella parte sud della regione.

 

Il regno di Mitanni 

È certo che l'elemento hurrita penetrò e dominò nelle zone settentrionali della Mesopotamia, come è possibile dedurre dal costituirsi del grande impero dei mitanni (formato da una casta di guerrieri hurriti) divenuto intorno al 1500 a.C. la potenza egemone di tutto il territorio della Mezzaluna Fertile. L'origine del termine mitanni è molto incerta, forse sta a indicare una zona geogradica del nord della Mesopotamia.
Di questo regno sono poco conosciute sia le origini sia le vicende. È noto, tuttavia, che nel XV secolo a.C. la città di Aleppo, in Siria, cadde nelle mani dei re di mitanni e al tempo di Barattarna il regno si era esteso fino a comprendere Nuzi in Assiria, come ci informano i numerosissimi testi amministrativi, riguardanti l'organizzazione statale mitannica.
Con il re Saushshatar, successore di Barattarna, la capitale era Washshukanni, un luogo non ben identificato nella Gezira. Questo re, per mantenere il controllo su Nuzi, a est, e su Alalakh, a ovest, conquistò la città di Assur e successivamente la distrusse.

 

Mitanni ed egizi 

Ma in Siria l'espansione di questo sovrano non fu priva di difficoltà, incontrò infatti la resistenza del faraone Thutmosis III. Indubbiamente i rapporti tra mitanni ed Egitto furono di ostilità, anche se non esistono testimonianze e prove sicure di conflitti tra i due popoli. Tuttavia i due imperi raggiunsero proprio in Siria un certo equilibrio con la divisione delle  rispettive aree d'influenza. Anzi ci fu un avvicinamento tra mitanni ed Egitto, quando i re mitanni si sentirono minacciati dall'invasione della città di Aleppo in Siria da parte del popolo degli ittiti. Le testimonianze di matrimoni fra alcuni re mitanni, fra i quali la figlia di Shuttarna, con alcuni faraoni, come Amenoiphis III, mettono in evidenza i buoni rapporti con l'Egitto, che durarono a lungo, anche sotto il regno di Tushratta (1390-1335 a.C.) e favorirono un periodo di pace e di tranquillità.
Ma le vicende successive intorno al 1350 a.C. fanno registrare una grave invasione da parte degli assiri, i cui monarchi, diventati sempre più potenti, inizieranno la grande avanzata verso il fiume Eufrate, ponendo così inesorabilmente fine al regno di mitanni.

 

La società mitannica 

Dei fondamenti della società mitannica sappiamo poco per l'insufficienza dei documenti trovati fino ad oggi.
Tuttavia dai sigilli di alcuni sovrani si ricava un certo numero di informazioni utili. I re di mitanni usavano l'appellativo di "gran re" che serviva a indicare il prestigio del proprio regno. Talvolta accanto a esso veniva utilizzato l'appellativo di "re di Hurri " per indicarne la stirpe di appartenenza.
Lo stato monarchico di mitanni, sviluppatosi a nord della regione mesopotamica, risulta formato dai elementi eterogenei. Accanto all'elemento predominante hurrita si trovano elementi ario-europei di provenienza antica-indiana che come abbiamo già detto risultano fusi tra loro. Questi due gruppi appaiono uniti tra loro, tanto che nelle stesse famiglie dei re troviamo nomi ario-europei e nomi hurriti. Senza dubbio la posizione degli ario-europei fu sempre elevata, infatti inizialmente fu proprio un gruppo di aristocratici ario-europei a detenere il potere nello stato mitannico. La causa di ciò sembra da ricercarsi nel fatto che questa aristocrazia aveva il possesso della proprietà terriera e conosceva l'uso dei carri da guerra, mezzo bellico completamente sconosciuto fino ad allora in Mesopotamia.

 

La struttura feudale del regno mitannico 

I documenti della città di Nuzi (sebbene città periferica rispetto al potere centrale), appartenenti agli archivi di un importante funzionario del re, permettono di ricostruire almeno in parte i caratteri dell'amministrazione del regno mitannico. Da questi testi è stato dedotto che l'organizzazione sociale ebbe una struttura feudale, regolamentata dalle precise leggi del codice Hammurabi, nella quale gli studiosi individuano un ampliamento del sistema paleobabilonese (della prima dinastia babilonese).
Le regioni periferiche, come quella di Nuzi, poterono, anche quando passarono sotto il dominio del potere centrale della capitale Washshukanni, mantenere i loro re, i quali assunsero però la posizione giuridica di grandi feudatari. Infatti i re locali o conservavano le loro terre in cambio del rispetto degli obblighi feudali, oppure, in alcuni casi, potevano rimanere liberi dagli obblighi feudali, in cambio della perdita di una parte dei propri territori, che venivano successivamente distribuiti ai feudatari minori dal governo centrale.
Tuttavia, sembra che queste terre, che venivano concesse ai feudatari, non potessero essere trasmesse ai loro discendenti per diritto ereditario, ma che, una volta morto il feudatario, dovessero necessariamente tornare nelle mani del re; in questo modo il controllo dell'amministrazione centrale era molto forte e limitava moltissimo il potere dei piccoli signori locali, i quali si vedevano così obbligati a mantenere una leale e duratura fedeltà verso il loro signore.

 

La religione hurrita 

Le fonti per la conoscenza della religiosità degli hurriti sono costituite da testi ittiti, poiché, come si è detto, mancano delle testimonianze dirette. Il pantheon (tempio) degli dèi  hurriti appare fortemente influenzato dalla tradizione mesopotamica sumerica e accadica, anche se i nomi sono tipicamente hurriti. Le divinità principali sono la dea Kebat e il dio Teshub, (il grande dio della tempesta) chiamato poi dagli ittiti Katti. Teshub è una divinità con caratteristiche universalistiche, raffigurato come il dio delle montagne. Il culto di questo dio si diffuse in tutta la Mezzaluna Fertile assumendo nomi diversi, a seconda delle diverse zone di culto.
Ma con il costituirsi del regno mitannico comparvero elementi divini indoeuropei quali Mitra, Varuna e Indra, ma non svolsero mai un ruolo primario, che venne mantenuto sempre dalle grandi divinità degli hurriti.

 

La letteratura e l'arte hurrita 

I più antichi documenti scritti in hurrito sono brevi testi ufficiali anche di carattere religioso. Da numerose testimonianaze è possibile ritenere che questo popolo avesse adottato la scrittura cuneiforme, trasmessa poi agli ittiti.
Lo scritto più importante è la lettera "di mitanni" inviata dal re mitannico Tushratta al faraone Amenoiphis III, scritta in hurrito, tranne l'intestazione, scritta in accadico. La lingua accadica continuò ad essere utilizzata in tutto l'impero mitannico, perchè più ricca di vocaboli e di formule di quella hurrita.
Anche sul piano letterario come su quello religioso gli autori hurriti ripercorrono i temi delle grandi opere mesopotamiche e di esse ci sono giunti frammenti dell'epopea di Gilgamesh, della leggenda del re Sargon I e del canto di "Ullikummi" nel quale si esalta la vittoria del grande dio della tempesta Teshub sul rivale Kumarbi.
In campo artistico, molto limitato, invece, è il numero dei reperti, poiché ancora non sono stati identificati i maggiori centri del regno mitannico.
Tuttavia è ormai sicuro che la produzione della ceramica della città di Nuzi risalga all'età di Mitanni, perché è scomparsa quando è cominciata la decadenza del regno mitannico.
Questa produzione è originalissima sia per l'uso del bianco su fondo nero o rosso scuro, sia per i motivi ornamentali geometrici accanto a quelli floreali.

 

I popoli d'Oriente

I fenici e le città-stato 

In quella striscia di terra che oggi è occupata dal Libano, vissero, a partire dal III millennio a.C., i fenici, un popolo di stirpe semitica dedito al commercio via mare. La loro civiltà riuscì a emergere solo quando cessarono le scorrerie dei "popoli del mare" e degli ittiti.
Antichi centri come Biblo e Ugarit tornarono a rinascere con la fondazione di piccoli regni, in parte autonomi. La città di Biblo era situata in una zona ricca di cedri, dai quali veniva ricavato il legname necessario per costruire le navi sia da guerra sia commerciali.
Dal punto di vista culturale Biblo subì l'influenza delle civiltà mesopotamiche ed egizia. La necropoli reale conteneva oggetti delle dinastie egizie del tempo, forse opera di artisti locali. Dopo essere stata distrutta nel 2100 a.C., Biblo fu ricostruita e di nuovo rasa al suolo dagli hyksos (1750 a.C.). Conquistata dagli egizi, riuscì a rendersi indipendente per un breve periodo prima di passare sotto il dominio degli assiri.
Il regno di Ugarit sorse in un promontorio della Siria, allo sbocco delle vie commerciali orientali sul Mediterraneo. Gli hyksos invasero anche questo regno operandovi gravi distruzioni. I documenti rinvenuti nel palazzo reale descrivono le lotte ingaggiate da questa città contro le popolazioni minoico-micenee, i ciprioti e gli egizi. La caduta di questo regno si deve all'incalzare dei "popoli del mare" intorno al 1200 a.C.
Distrutta Ugarit, la civiltà fenicia si affermò nelle città di Tiro, Sidone, Arados e Berytus, situate lungo la costa siro-palestinese.
In particolare Sidone instaurò una vera e propria egemonia commerciale approfittando della caduta della potenza cipriota e cretese. La supremazia sidonia sui traffici del Mediterraneo fu sottolineata inoltre dalla fondazione di una colonia in Africa, dalla quale nacque più tardi Cartagine.
Dopo Sidone anche Tiro cominciò a colonizzare le terre dell'Africa settentrionale, fondando Utica e Tapso.

 

I fenici abili navigatori 

Nell'arte della navigazione i fenici si distinsero per l'introduzione di alcune innovazioni: l'architettura navale caratterizzata da uno scheletro ligneo che conferiva all'imbarcazione maggiore stabilità in caso di tempesta.
La padronanza delle maree, ottenuta grazie ad accurate osservazioni, e l'ottima conoscenza del cielo stellato (per la navigazione notturna i fenici già utilizzavano la posizione fissa nella volta celeste della stella polare) permisero a questo popolo di raggiungere luoghi assai lontani.
La ricerca dello stagno li spinse infatti a circumnavigare la penisola iberica, giungendo sino alla Cornovaglia. L'importanza dello stagno era data dal fatto che questo metallo, unito al rame, formava il bronzo, una lega molto richiesta per la fabbricazione di armi.
Il più antico insediamento fenicio in Spagna fu probabilmente Cadice, un centro importante per il commercio dell'argento.
L'apogeo della potenza commerciale di Tiro si ebbe sotto il regno di Hiram, nel 1000 a.C., lo stesso sovrano che fonti ebraiche ricordano come alleato di Israele. Nel 574 a.C. il re babilonese Nabucodonosor conquistò la città, provocandone la definitiva decadenza. Ma prima che ciò accadesse molti dei suoi abitanti si erano già trasferiti in Africa, fondando Cartagine (814 a.C.), una delle città protagoniste della storia antica.

 

L'organizzazione sociale e le risorse economiche 

Scarse sono le informazioni sulla struttura politica delle città-stato fenicie. Tuttavia è sicuro che ognuna dominasse un territorio circostante.
I fenici non crearono mai un vero e proprio stato: forse la loro propensione ai traffici e al commercio li "distraeva" da un'intensa vita politica.
La vera ricchezza delle città consisteva nella fiorente attività commerciale sul mar Mediterraneo unita a un'intensa attività artigianale inerente la lavorazione delle materie prime importate dai paesi lontani (cotone, stagno, argento, oro, avorio). Molto apprezzata e diffusa fu la lavorazione dei metalli, nella quale gli artigiani fenici eccelsero creando prodotti raffinati, dei quali sono stati trovati splendidi esemplari negli scavi di Nimrud e Samaria, in Siria.
Gli artigiani e gli operai fenici erano molto richiesti: lo stesso re Salomone di Gerusalemme li chiamò a corte durante la costruzione del Tempio per compiere opere di intaglio su legno e avorio.
I fenici perfezionarono anche un'antica tecnica egizia per la fabbricazione di oggetti in vetro, dalle forme molto eleganti (vasi e collane).
L'industria forse più celebre e caratteristica di questo popolo fu quella della porpora, una sostanza ricavata da un mollusco marino (murice) con la quale si tingevano i tessuti di un rosso acceso. Queste colorate stoffe divennero simbolo di raffinatezza e di ricchezza in Oriente e in Occidente.
L'attività commerciale e artigianale sulla quale si basava l'economia delle città fenicie era controllata dai sovrani, dai quali dipendevano gli operai e gli artigiani. Nel governo della città il re era aiutato da un consiglio di saggi che rappresentava le famiglie più importanti.

 

La religione e il sommo sacerdote 

Il potere religioso era affidato a un sommo sacerdote che interferiva anche nella vita politica. I fenici, come tutti i popoli antichi, erano politeisti e i loro culti si rifacevano al ciclo naturale della vita dei campi.
Intorno al 1000 a.C. la religione fenicia assunse caratteri propri: fu elaborata una concezione gerarchica delle divinità, all'interno della quale era riconosciuta la supremazia assoluta al dio El, un dio creatore e signore del cielo, principio vivificatore di tutto l'universo. Sotto di lui stavano gli dèi minori, quali Baal, dio della tempesta, Melkart, dio dei commerci, e Astarte, dea dell'amore.
L'attività religiosa, retta dai sacerdoti, si svolgeva all'aperto, in templi posti su alture in mezzo ai boschi. Le cerimonie di solito si concludevano con sacrifici offerti agli dèi: in tempi più remoti durante le calamità naturali si sacrificavano fanciulle e fanciulli per placare l'ira divina, ma successivamente i sacrifici umani furono sostituiti da quelli animali.

 

La cultura fenicia e l'alfabeto 

Nonostante l'omogeneità culturale esistente tra le varie città fenicie, esse non si unirono mai in una federazione; questa sorse solo occasionalmente di fronte a un pericolo comune (come accadde durante l'invasione dei "popoli del mare"). Del resto è significativo che nei documenti scritti giunti fino a noi non si parli mai di fenici, ma di cittadini di Sidone o di Tiro: il termine "fenici" infatti venne coniato dai greci.
La tradizione classica attribuisce ai fenici una delle invenzioni più significative del mondo antico: l'alfabeto, formato da ventidue segni che riproducono altrettanti fonemi. Questi segni astratti, in confronto agli ideogrammi, rappresentavano una soluzione particolarmente semplice al problema della trascrizione dei messaggi orali.
Il nuovo sistema di scrittura alfabetica fu il punto d'arrivo di una lunga evoluzione di precedenti sistemi. I primi passi sembra siano stati compiuti dagli abitanti della città di Ugarit intorno alla metà del II millennio a.C. Proprio in questa città sono state ritrovate brevi iscrizioni che utilizzano un alfabeto di trenta segni simili a quelli fenici.
La nuova scrittura alfabetica si diffuse rapidamente, sostituendosi al vecchio sistema geroglifico egizio e a quello cuneiforme mesopotamico.
I greci derivarono il loro alfabeto da quello dei fenici, completandolo con i segni corrispondenti ai suoni vocalici.
Il sistema alfabetico si diffuse dalla Grecia ai popoli dell'Europa meridionale e fu adottato dai romani, che a loro volta lo diffusero in tutto l'Occidente.

 

I popoli dell'altopiano iranico 

Popolazioni di stirpe ario-persiana si erano stanziate in epoca non ben definibile nell'altopiano iranico, a est del fiume Tigri, nell'area che si affaccia sul mar Caspio. In questa zona si erano sviluppate fin dai tempi preistorici alcune forme, seppure primitive, di civiltà.
Questi popoli, in larga misura seminomadi, erano dediti alla pastorizia e conoscevano l'uso del cavallo e del carro da guerra. La loro società era formata da aristocratici (guerrieri e sacerdoti) e dalla massa dei lavoratori. Gradatamente essi abbandonarono la vita seminomade a favore di una più sedentaria, basata sull'attività agricola.
I frequenti contatti con i regni di Assur e di Elam ne influenzarono lo sviluppo sociale e culturale: adottarono la scrittura cuneiforme per redigere documenti dell'amministrazione pubblica e abbandonarono inoltre le pratiche prettamente magiche a favore di una concezione religiosa più articolata e complessa.
Dell'antica religione naturalistica mantennero il culto per il dio Ahura Mazdah (il Saggio Signore), considerato da medi e persiani la fonte del potere regio sulla Terra e su tutti gli esseri viventi. Accanto a Mazdah vi era Mitra, una divinità solare, il cui culto era diffuso anche tra i ceti più poveri, in quanto portatrice di giustizia e di benessere per tutti. Inoltre era venerato il dio del vento o dio della vittoria, Verethraghna, che attribuiva o sottraeva gloria e potere al sovrano.
Seguivano molte altre divinità minori connesse con gli astri e con le forze della natura. Per la pratica dei culti religiosi non occorrevano templi né altari; i luoghi dedicati al compimento dei sacrifici erano le cime delle montagne.

 

Il dominio dei medi 

Tra i popoli iranici si distinsero per la loro notevole forza militare i medi, continuamente in conflitto con gli assiri, dai quali furono sottomessi più volte.
Nel 673 a.C. il capo dei medi, Fraorte, si alleò con i cimmeri e cinse di assedio la capitale assira, Ninive. Alla morte di Fraorte, il successore Ciassarre I riuscì a riorganizzare un forte esercito e, stipulata un'alleanza con il re babilonese Nabopolassar, distrusse nel 612 a.C. Ninive. Dopo aver sconfitto gli assiri, i medi estesero il proprio dominio su Armenia, Cappadocia e Lidia e pretesero il riconoscimento della loro sovranità su molti territori dell'Asia Minore.
Per controllare meglio i territori sottomessi, i sovrani medi nominarono dei governatori che avevano l'obbligo di rispondere direttamente ai loro ordini. Questo sistema basato sul decentramento amministrativo manteneva vive le tradizioni locali e consentiva di superare efficacemente le difficoltà di comunicazione dovute anche alla natura impervia di molti territori, anticipando l'istituzione delle satrapie persiane.
Il dominio dei medi durò circa mezzo secolo; non ebbe mai caratteristiche culturali del tutto originali, ma si ispirò direttamente all'antica cultura mesopotamica.
La monarchia dei medi, come quella degli ittiti, basò la propria forza sull'organizzazione dell'esercito e sulla tecnica militare. Furono adottate per il combattimento truppe a cavallo e reparti specializzati, costituiti da numerosi fanti muniti di lunghe aste. Significative quindi furono le innovazioni e le trasformazioni sul piano militare, volute soprattutto da Ciassarre.

 

L'impero dei persiani 

Alla morte di Ciassarre, la monarchia, che rivelava la sua forza in guerra, ma non era in grado di condurre una solida politica civile in tempo di pace, non tardò a manifestare la propria debolezza. Salì al trono Astiage, che nel 559 a.C. fu sconfitto e sostituito dal nipote Ciro. Questi era stato sostenuto dai persiani, una tribù ancora nomade che aveva partecipato alle guerre contro gli assiri a fianco dei medi.
Una volta conquistato il potere Ciro si proclamò, senza incontrare grosse resistenze, re dei persiani e dei medi. La fusione di questi due popoli, insediati nella stessa regione e professanti la stessa religione divenne tale che nel mondo antico il nome di medi finì per indicare anche il popolo persiano.
In poco tempo Ciro invase e occupò l'Anatolia, poi si rivolse alle regioni orientali, conquistando la Battriana e la Sogdiana; infine, nel 539 a.C., sottomise tutto il regno babilonese fino all'Egitto. Durante una battaglia contro gli sciti (tribù eurasiatiche), Ciro perse la vita e fu sostituito da Cambise (529-522 a.C.), il quale assoggettò l'Egitto.
Il suo successore, Dario (521-485 a.C.), dopo aver occupato la valle dell'Indo, a est, e la Tracia, a ovest, si dedicò al consolidamento del suo impero.
A lui si deve la suddivisione del regno in venti satrapie o province, rette da altrettanti satrapi, che avevano il compito di governare le province, comandare l'esercito, amministrare la giustizia e riscuotere i tributi.
Per ragioni logistiche furono istituite quattro capitali: Ectabana, Babilonia, Susa e Persepoli. Naturalmente al di sopra di tutti vi era il sovrano, chiamato anche "Gran re" o "Re dei re". Sotto Dario e i suoi successori l'impero persiano giunse a livelli altissimi di civiltà e di potenza, tanto da minacciare l'esistenza delle emergenti città della Grecia, quali Atene e Sparta, che, come si vedrà, di fronte alla forza persiana dovettero lottare a lungo per difendere la propria indipendenza.

 

I cananei 

Fra il deserto dell'Arabia e il mar Mediterraneo si stende una sottile e stretta striscia di terra che fu chiamata nell'antichità Terra di Canaan, perché abitata dai cananei, genti di stirpe semitica.
La fortunata posizione geografica di Canaan rese questa regione importantissima dal punto di vista dei commerci: da questa zona passavano le carovane che trasportavano merci pregiate da sud verso le ricche città della Siria. Questo territorio costituiva inoltre un passaggio obbligato tra i fiorenti imperi dell'Egitto e della Mesopotamia: circolavano attraverso di esso una grande quantità di merci fra le quali la lana, le pelli, l'olio, il vino e in particolare una merce molto ricercata, necessaria per i riti religiosi e per la fabbricazione dei profumi: l'incenso.
Nel II millennio a.C. questa terra divenne pertanto insieme all'Egitto uno dei maggiori centri di civiltà. Ma a differenza dell'impero egizio, caratterizzato da un assetto politico di tipo feudale e teocratico con al vertice l'autorità del faraone, nelle città della terra di Canaan si affermò una società più aperta e più libera, formata da ricchi commercianti e marinai.
I cananei, come tutti i popoli antichi, adoravano molte divinità naturali, che amavano ritrarre in piccole statue di bronzo. Sono questi gli idoli contro i quali si scaglierà  la fede monoteista degli ebrei.
Intorno al 1800 a.C. le diverse città-stato di Canaan, a causa della mancanza di un potere centrale forte, caddero sotto l'influenza prima degli egizi, poi degli ittiti. Nello stesso periodo vi fu una migrazione di tribù nomadi semitiche, tra le quali gli ebrei, che abbandonarono il deserto arabico per stanziarsi nella terra di Canaan. L'occupazione del territorio si svolse all'inizio in modo pacifico, ma presto si arrivò allo scontro armato tra nomadi e sedentari. Nel 1200 a.C. giunsero nelle terre cananee i filistei (probabilmente i cosiddetti "popoli del mare"). L'incursione di questo popolo permise agli ebrei a sud e ai fenici a nord di sviluppare civiltà autonome.

 

Gli ebrei e la "terra promessa" 

Le prime notizie sugli ebrei sono contenute nella Bibbia. Secondo il racconto della Bibbia, confermato da reperti archeologici, il popolo ebraico abitava nella Mesopotamia meridionale. Guidati dal patriarca Abramo migrò intorno al 1800 a.C. verso nord, alla ricerca di nuove terre fertili.
La "terra promessa" da Dio ad Abramo era la terra di Canaan, che sarà poi nota come Palestina perché occupata dal popolo dei filistei. Lenta e difficile fu questa migrazione verso la Palestina, che, iniziata con Abramo, proseguì con il figlio Isacco e continuò con il successore Giacobbe, chiamato anche Israele. Raggiunta la Palestina gli ebrei dovettero abbandonare questa terra perché colpiti da una terribile carestia e sottoposti a pressione da parte degli ittiti. Si diressero allora in Egitto, invaso dagli hyksos, ove inizialmente riuscirono a vivere conservando la propria identità.
Con la cacciata degli hyksos per opera del faraone Ramsete II, gli ebrei furono ridotti in schiavitù. La loro liberazione si ebbe solo più tardi, quando le incursioni dei "popoli del mare" indebolirono il potere centrale egizio.
La fuga dal paese fu guidata da Mosè; durante i quarant'anni della migrazione dall'Egitto vennero elaborate le norme etiche e religiose che avrebbero costituito la base della vita e della cultura ebraica.
L'occupazione si realizzò in varie fasi; l'insediamento definitivo nella parte meridionale della Palestina avvenne all'incirca tra il 1150 e il 900 a.C. Le tribù abbandonarono il nomadismo e, per salvaguardare la loro autonomia dalle genti limitrofe, in particolare dai filistei, si strinsero in una federazione di tipo anfizionico (ossia una lega basata sulla comunanza religiosa prima ancora che politico-economica), la prima forma di unità del popolo d'Israele.

 

Da Saul a Salomone 

Sotto la guida di Saul gli ebrei riuscirono a vincere i popoli vicini, assoggettando i filistei. Egli fu proclamato, così,  primo monarca del nuovo regno ebraico nell'anno 1020 a.C.
Morto Saul, il consiglio degli anziani scelse un nuovo sovrano, David, che governò dal 990 al 968 a.C. Grande guerriero e uomo dotato di eccezionali capacità politiche, che gli valsero la proclamazione a re da parte delle tribù meridionali d'Israele e l'alleanza con le tribù settentrionali, David venne riconosciuto in seguito sovrano di tutte le tribù, sconfisse definitivamente i filistei e consolidò il suo potere.
Utilizzando truppe mercenarie riuscì a conquistare la città di Gerusalemme, fino ad allora indipendente, e la rese capitale e centro religioso del regno d'Israele. Le molte città conquistate e i numerosi territori sottomessi garantirono alle tribù una sicurezza politica e una ricchezza economica mai raggiunte prima.
Il figlio di David, Salomone (961-922 a.C.), pose fine alle continue rivolte tra fazioni in lotta fra loro e ostili al sovrano, insorte alla fine del regno del padre, e mirò a rafforzare lo stato creato da David. Favorì gli scambi con le città fenicie della costa e con i centri carovanieri della penisola araba, sfruttando in modo migliore i giacimenti minerari e riorganizzando l'esercito con l'introduzione del carro da guerra.
Israele divenne il più importante stato cananeo dell'età del ferro e visse un lungo periodo di pace e di prosperità. La città di Gerusalemme si ampliò e si arricchì di monumenti come la splendida reggia, le possenti mura e il Tempio. Ma per realizzare un potere centralizzato forte, Salomone tassò pesantemente la popolazione, che, costretta a duri sacrifici, tornò a ribellarsi.
Dopo la morte del sovrano iniziò un periodo di decadenza politica e religiosa. Persa l'unità, il regno si divise in due parti: a nord si formò il regno d'Israele con capitale Samaria, a sud il regno di Giuda con capitale Gerusalemme.

 

La decadenza dei due regni e le diaspore 

I conflitti interni e le pressioni dei popoli vicini provocarono la scomparsa dei due regni. Il primo a cadere, perché più debole, fu quello di Israele, travolto dalle truppe assire nel 721 a.C. Samaria fu distrutta, il territorio d'Israele fu smembrato e gli abitanti vennero deportati. Il regno di Giuda sotto Ezechia (715-687 a.C.) dovette contrastare soprattutto le infiltrazioni culturali di Assur e, appoggiandosi alle città filistee e a Babilonia, cercò anche di opporvisi militarmente. Ma le truppe assire posero sotto assedio Gerusalemme (701 a.C.) ed Ezechia dovette cedere.
Una riscossa nazionale si ebbe sotto la guida di re Giosia (640-609 a.C.), il quale, approfittando della crisi della potenza assira, tentò di ricostituire l'unità politica d'Israele controllando vaste zone del regno settentrionale.
Successivamente i rapidi progressi in Siria di Nabucodonosor II di Babilonia fecero sì che il regno di Giuda cadesse nelle mani dei babilonesi.
Intorno al 587 a.C. Gerusalemme fu rasa al suolo, il Tempio fu saccheggiato e gran parte della popolazione fu deportata a Babilonia. Fu questa la prima diaspora (dispersione) del popolo ebraico, conclusasi dopo circa cinquant'anni con l'abbattimento da parte dei persiani di Ciro della potenza babilonese. Ciro permise agli ebrei di ritornare in Palestina, dove venne ricostruita la città di Gerusalemme.
Dopo il dominio dei persiani gli ebrei dovettero subire il governo di Alessandro Magno e dei suoi successori siriani e, infine, quello dei romani. Nel 70 d.C. i romani, per soffocare una rivolta, distrussero ancora una volta Gerusalemme e il suo Tempio e avviarono la seconda diaspora.


La civiltà della valle dell'Indo 
Intorno al 1920 importanti scavi archeologici effettuati nella valle dell'Indo, situata nella parte nordoccidentale della penisola indiana, hanno portato alla luce diversi centri, caratterizzati da culture di tipo agricolo, risalenti al III millennio a.C.: Harappa e Kalibangan nel Panjab, e Mohenjo Daro sul corso del fiume Indo. Si tratta molto probabilmente di antiche capitali di un impero fiorito tra il 2300 e il 1700 a.C.
Ulteriori studi comparati con gli scavi di Mehrgarh hanno indotto gli archeologi a ipotizzare che le culture calcolitiche del Beluchistan (nella zona nordoccidentale) abbiano avuto un significativo impulso nello sviluppo di questa cultura, almeno in campo artistico.
I regni di Harappa e di Mohenjo Daro occupavano territori vasti centinaia di ettari; le strade erano costruite secondo una planimetria assai regolare. Sia le vie principali sia le vie secondarie erano attraversate da un sistema molto efficiente di fognature. Inoltre erano divise in due zone: una bassa, nella quale si trovavano i diversi quartieri costituiti da costruzioni signorili e da abitazioni modeste, e una alta, fortificata, sede del potere politico e religioso, nella quale si trovavano gli edifici pubblici. Mura e torri ben visibili proteggevano le città da eventuali incursioni.
Le case civili più importanti di solito erano realizzate a due o più piani ed erano costruite con mattoni cotti rossi, mentre le altre erano edificate con mattoni essiccati al sole. Tutti gli edifici però erano assai confortevoli e funzionali e generalmente disponevano di un cortile interno con un pozzo, di bagni e di condutture per l'acqua.
Tra gli edifici pubblici si distinguevano quelli dedicati al culto, mentre sembra che mancasse un palazzo reale.
Tale assenza induce a ritenere che il potere politico fosse in mano a un consiglio di anziani o a una casta sacerdotale piuttosto che a un sovrano.

 

Le basi economiche e l'organizzazione sociale 

Un edificio di grande importanza, rinvenuto nella zona fortificata, è il granaio collettivo, dove si raccoglievano i cereali per difenderli dai saccheggi del nemico. Ciò attesta che l'agricoltura era molto sviluppata: il frumento, l'orzo e il sesamo costituivano la base dell'alimentazione degli abitanti. Sono state ritrovate tracce delle prime coltivazioni di cotone, una fibra che, come la lana, veniva tessuta per ricavare abiti e tappeti.
Molto sviluppato era anche l'artigianato, come dimostra la presenza di innumerevoli botteghe. Diffusa era la lavorazione di metalli quali l'oro, l'argento e il rame, con i quali si fabbricavano coppe, tazze, monili e altri oggetti. Per quanto riguarda la lavorazione della ceramica si distinguono manufatti di uso domestico, riccamente decorati; non mancano tuttavia caratteristici esemplari di sculture in pietra.
Il documento più significativo di queste culture è costituito dalla lavorazione dei sigilli a forma cilindrica e quadrata in pietra dura o in avorio, che venivano utilizzati per contrassegnare le merci. Su questi cilindri venivano incise immagini raffiguranti animali (in particolare il toro, la tigre e l'elefante) e divinità (metà uomo metà animale, d'ispirazione mesopotamica), accompagnate da brevi iscrizioni in caratteri pittografici, non ancora decifrati.
Tutti questi oggetti rappresentano la testimonianza dell'alto livello di civilizzazione raggiunto in queste città e fanno pensare a una folta classe di artigiani operosi, abili e ben organizzati.
Nei centri della valle dell'Indo la società era suddivisa almeno in tre classi sociali: i contadini, gli artigiani e i mercanti, che vendevano i prodotti lavorati anche in regioni lontane e fornivano le città di materie prime.
Verso il 1700 a.C. le due splendide città di Harappa e Mohenjo Daro decaddero: dighe e canali non furono più difesi, la vegetazione diminuì e il terreno, non più coltivato, si inaridì. La civiltà dell'Indo entrò in crisi in seguito a molteplici cause fra le quali catastrofi naturali e l'invasione da nord degli arii, tribù seminomadi di stirpe indoeuropea che penetrarono in questa zona dell'India con carri da guerra trainati da cavalli.

 

 

Gli ittiti

Prima degli ittiti 

Nell'Anatolia centrale e orientale, a partire dalla seconda metà del III millennio a.C. si erano formati centri urbani, prima della comparsa degli ittiti, nei quali la pastorizia e l'agricoltura erano abbastanza sviluppati. Il ritrovamento di molti oggetti di ceramica lavorati a mano e dipinti con una certa fantasia ci forniscono una valida testimonianza di ciò. In essi si era già sviluppato un tipo di vita religioso ed economico avanzato, con caratteristiche proprie, indipendenti dalle civiltà mesopotamiche.
Intorno al 1900 a.C. (età del bronzo) nella località di Kultepe, lungo il fiume Halys, avevano fatto la loro comparsa diverse agenzie commerciali assire, che avevano permesso grandi progressi nella vita culturale ed economica della regione, attraverso l'importazione di merci e di tecnologie avanzate, utili per lo sviluppo delle industrie locali.
Gli studiosi parlano senza dubbio di una forma di colonialismo commerciale assiro, che creò nuovi tipi di attività accanto a quelle tradizionali, lasciando però intatto l'assetto politico e sociale.
Intensa fu l'influenza assira, soprattutto nella lavorazione della ceramica estremamente varia e fantasiosa. Così accanto alle attività agricole e pastorali si venne sviluppando l'artigianato, che creò un ceto sociale più avanzato intellettualmente e più attivo.

 

I primi stanziamenti degli ittiti 

Intorno al 1800 a.C. mercanti assiri ci informano sulle lotte tra i signori locali e riferiscono notizie su una della più grandi dinastie costituitesi nell'area anatolica, intorno alla città di Kussara. Si parla di un sovrano di nome Anitta, capo del popolo ittita, che occupò le città di Nesa e di Hattusa e fondò una potente monarchia. Questa tribù militarmente molto forte s'impose con la forza sugli altri popoli.
Gli ittiti parlavano una lingua diversa da quella degli abitanti del posto, derivante dal ceppo indoeuropeo (famiglia di lingua europeo ed asiatico con caratteristiche comuni), diffuso in gran parte nell'Asia. L'origine di questo popolo, come quella di molte popolazioni indoeuropee, è molto incerta. È tuttavia oggi più accettata l'ipotesi che si tratti di genti provenienti da Oriente, che si stanziavano nelle prime zone favorevoli che incontravano nel loro cammino.
In Anatolia, già prima dell'arrivo di queste tribù, vivevano popoli abbastanza pacifici, ma in caso di conflitti tra le città sembra (secondo testimonianze assire) che fossero impiegati soldati mercenari (chiamati così perché pagati dai re locali), che parlavano un'altra lingua e conoscevano nuove tecniche di guerra. Questi gruppi mercenari si trasformarono più tardi in dominatori al posto dei re locali. Questo fece Pithana (primo personaggio ittita del quale ci parlano le fonti scritte) ponendo le basi della prima dinastia del popolo ittita.
Così in tutta l'Asia Minore si andò affermando il potere di una popolazione superiore militarmente, formata sostanzialmente da guerrieri di professione. Questi nuovi dominatori per mantenersi nel lusso s'imposero sulle popolazioni produttrici, costringendole a lavorare per loro. Ma i nuovi capi, come Anitta, figlio di Pithana, ebbero esigenze diverse dalle popolazioni sottomesse, così fecero decadere l'influenza commerciale assira, provocando un arresto nello sviluppo della società anatolica.

 

La dominazione ittita 

La storia degli ittiti non è unitaria, ma presenta diverse fasi di sviluppo. È difficile tuttavia conoscere i vari periodi, perché mancano fonti scritte. I diversi documenti ritrovati in questo secolo ad Hattusa (Bogazkoy) ci raccontano la storia di questa civiltà del cosiddetto periodo classico, a partire dal re Labarna, fondatore ufficiale, secondo gli ittiti, della loro vera storia.
Tra le vicende dell'espansione del primo re Anitta e il re Labarna (circa due secoli dopo) c'è il silenzio totale.
Comunque per spiegare la superiorità di questo popolo in Anatolia, ormai potente nel periodo classico, dobbiamo parlare della comparsa di nuove tecniche nella lavorazione dei metalli. Sappiamo che gli ittiti avevano il monopolio della lavorazione del ferro, metallo temibile rispetto al rame e al bronzo, perché rendeva più solide le armi. Ma l'uso del ferro non basta a giustificare la loro superiorità. Un altro elemento importantissimo contribuì a determinare il loro successo: il cavallo.
Nel III millennio a.C. è sicuro che il cavallo era sconosciuto nel bacino del Mediterraneo e soprattutto ne era sconosciuto l'uso bellico. Probabilmente esso fu introdotto in Anatolia dai popoli provenienti da Oriente dalle zone dell'Asia centrale. Alcuni documenti ritrovati ci informano sull'allevamento e sull'addestramento praticato dagli ittiti. Così l'uso del cavallo anche in guerra, al posto dell'asino, determinò in tutto il mondo antico terrore e stupore.

 

Le innovazioni tecniche e l'arte della guerra

 

L'elemento più attivo e importante del popolo ittita fu l'esercito, il quale sviluppò un'autentica supremazia militare sugli altri popoli, grazie all'uso sapiente di un nuovo animale, intelligente e veloce: il cavallo.
I cavalli che trainavano carri veloci da combattimento posero gli ittiti al di sopra di tutti i guerrieri mesopotamici, che invece disponevano di carri pesanti trainati da piccoli asini.
Così il carro ittita divenne un impareggiabile elemento di sorpresa: gettava scompiglio nella battaglia e disorientava il nemico. Leggero con le sue ruote a sei raggi, trasportava tre uomini; uno per guidare, un altro per attaccare con arco e frecce, il terzo per difendere i compagni con lo scudo levato in alto.
I carri avevano una funzione decisiva per le sorti della battaglia, essi dovevano attaccare lateralmente il nemico fino a circondarlo. I 240 uomini (quanti ne servivano per un combattimento) su 80 carri costituivano la parte più importante della popolazione insieme al re, alla corte e all'intera casta sacerdotale.

 

L'impero 

Con il re Labarna (1680-1640 a.C.) si fa iniziare la dinastia storica degli ittiti. Questo popolo incapace di navigare aspirava a estendere il proprio dominio fino al mare. Molte città furono conquistate dal re Labarna, fra esse alcune che già Anitta aveva preso, ma che, probabilmente, aveva poi perduto. È quasi certo tuttavia che Hattusa fu conquistata dal successore di Labarna, che si fece  perciò chiamare Hattusis I.
Egli dette alla potenza ittita quella forza che permise ai successori come Mursili I (1610-1580 a.C.) di invadere la città di Aleppo, in Siria, e la città di Babilonia. Fu con lui che si combatterono battaglie contro gli Hurriti, popolazione (della quale si è già avuto modo di dire) che aveva posto fine alla prima dinastia babilonese di Hammurabi.
Dopo la morte di Mursili I seguirono numerose lotte intestine alle quali pose fine il nuovo sovrano Telipinu (1520- 1500 a.C.) che emanò un Editto di estrema importanza per la storia ittita.
Con Telipinu si consolidò l'impero, tanto che questo periodo viene indicato come l'età eroica della storia ittita. Alla sua morte lo stato si sfasciò sotto i colpi del regno di Mitanni (fondato come si è visto dagli hurriti) che occuparono l'Assiria e la Siria sttentrionale.

 

Il carattere della monarchia ittita 

Telipinu con il suo editto fissò la posizione del re secondo la tradizione dei popoli indoeuropei. A differenza della monarchia egizia e mesopotamica il sovrano ittita non ha poteri teocratici (divini) né diretti né indiretti. Egli è soltanto il capo supremo di un'assemblea di guerrieri (detta panku), che è un organo politico. Evidentissima è l'originalià e la diversità tra questa concezione del monarca e quella dei popoli dell'area del Mediterraneo orientale.
Putroppo una simile situazione aveva un grosso limite, infatti alla morte del re, si verificavano sempre lotte di successione sanguinose, che causavano grande instabilità nello stato. Il sovrano Telipinu propose, però, una riforma che fosse in grado di regolare la successione al trono, che si basava sul concetto di ereditarietà della corona.
Questa legge mette in evidenza la debolezza della stessa monarchia ittita, debolezza che va ricercata nell'origine propria di questo popolo indoeuropeo, costituito da una tribù di guerrieri che si consideravano tutti alla pari, governati da un re che aveva un ruolo puramente strumentale. Difficile in queste condizioni stabilire un ordine dinastico (ovvero l'ordine di successione di persone della stessa famiglia).
Da ricordare inoltre che l'unica attività di questa popolazione era la guerra e che la forza della monarchia era tutta basata sulla forza dei guerrieri. Lentamente si erano andati formando due gruppi privilegiati in rivalità tra loro: quello della famiglia reale e quello dei guerrieri facenti parte del panku (assemblea).

 

L'evoluzione della monarchia 

Quando l'espansione ittita rese inevitabile l'aspirazione a uno stato più progredito, nel quale prevalessero gli interessi collettivi rispetto a quelli dei singoli, fu necessario un cambiamento ed emerse la necessità di consolidare il potere monarchico centrale, per dare maggiore sicurezza e stabilità all'impero.
È in questo quadro che si inserisce la legge dell'ereditarietà che trasforma in dinastia (serie di re di una stessa famiglia) la monarchia prima selettiva (scelta). Così la riforma di Telipinu stabilisce che, alla morte del re, il trono spetti di diritto ai suoi figli.
La monarchia subisce un'evoluzione e diventa un'istituzione legittima, accogliendo nuovi cerimoniali per sottolineare il nuovo carattere del sovrano. I re d'allora in poi aggiunsero il nome di Tabarna (alterando il nome Labarna) che significava "re dei re".
La monarchia ittita andò quindi acquistando caratteri teocratici; il re assunse anche il titolo di Sole e utilizzò come simbolo il disco solare, che veniva rappresentato sospeso sulla testa (copiando la simbologia egizia). Il sovrano, assumendo la funzione di intermediario tra gli uomini e la divinità, divenne anche capo religioso e unico responsabile dell'impero. Fu proprio il nuovo potere religioso che servì a giustificare la supremazia del sovrano sulla collettività.
Questa rivoluzione monarchica legittimò il potere esecutivo (funzione di far rispettare le leggi) del re ma non eliminò il potere politico del panku; tra i due poteri fu stabilito un compromesso.
Un discorso particolare va fatto per la regina, la quale assunse il nome di Tavannannas (nome della moglie del re Labarna). Ella mantenne un proprio potere, distinto da quello del re. La regina interveniva negli affari di tipo politico e anche lei aveva grande importanza sul piano religioso, in quanto aveva legami molto stretti con gli dèi.

 

La società ittita 

I territori dell'impero furono amministrati e controllati da governatori incaricati dal sovrano. Tuttavia il re lasciò un'ampia autonomia alle varie città sottomesse, tanto che, grazie a essa, si ebbe una rinascita delle civiltà locali affermatesi prima dell'invasione dei popoli dominatori indoeuropei.
Con l'arrivo degli ittiti la società si distinse in dominatori e dominati. Questi ultimi, chiamati anche uomini-strumento, perché avevano il compito di lavorare, comprendevano gli uomini addetti alle attività produttive. Essi erano obbligati a mantenere i dominatori, cioè il sovrano, la sua corte e gli uomini d'armi, costituenti il panku.
Quando l'impero aumentò le esigenze la società si suddivise in più gruppi: il re, la corte, i guerrieri, i funzionari del re, gli uomini-strumento, che esercitavano tutti i mestieri necessari all'impero. Si andò formando una società di tipo feudale, dove i gruppi dominanti  (re, funzionari e guerrieri) s'imponevano con la forza delle armi sui sudditi.
Questi ultimi erano divisi in due gruppi: uomini liberi superiori, che svolgevano attività imprenditoriali, e uomini liberi inferiori, come i lavoratori della terra, che avevano l'obbligo di pagare i tributi. Nel caso in cui questi uomini tributari non fossero riusciti a pagare le tasse automaticamente diventavano servi di un padrone, con l'obbligo di lavorare al suo servizio.

 

La condizione dei servi 

Bisogna segnalare che la condizione servile nella società ittita fu molto diversa da quella del mondo classico greco e latino.
Infatti nel mondo ittita vi erano delle leggi che tutelavano le persone sottomesse alla schiavitù: affermavano che lo schiavo doveva essere trattato con umanità dal padrone finché avesse rispettato tutti gli obblighi e che ogni abuso da parte del padrone sarebbe stato punito. Lo schiavo non era una cosa di cui disporre arbitrariamente. Egli, nella società ittita, poteva anche mutare la propria condizione, sposando una persona libera, purché dimostrasse di avere una certa possibilità economica per pagare i propri debiti. Come si vede le leggi ittite rispetto al codice Hammurabi avevano maggior rispetto per la vita umana, infatti la pena di morte era data solo in casi particolari.

 

L'economia ittita 

Sia al tempo dell'antico impero ittita, sia durante il periodo classico, l'economia ebbe un carattere essenzialmente agricolo come dimostrano le leggi che regolavano il possesso delle terre, del bestiame, i diritti di irrigazione dei campi ecc. Tuttavia, nonostante la dominazione degli ittiti, le iniziative commerciali dei mercanti delle diverse città, come ai tempi delle agenzie assire, non erano mai del tutto cessate.
La regione anatolica era famosa per le sue ricchezze di argento e soprattutto di minerali ferrosi. Il ferro infatti divenne il metallo più ricercato a partire dal XIII secolo a.C., dopo che ne fu scoperta la sua lavorazione. Ma è bene ricordare che nell'impero ittita sia al tempo di Labarna, che successivamente con il nuovo dominio, risorto intorno al 1400 a.C., non si sviluppò mai un vero e proprio ceto di mercanti perché i prodotti, e in particolare i metalli, erano monopolio del sovrano. Il potere centrale del Palazzo controllava i commerci e disponeva di grandi quantità di merci sulle quali imponeva i prezzi.

 

Il nuovo impero ittita 

Gli ittiti dopo il 1400 a.C., sconfitto il potente regno di Mitanni, ripresero la loro politica espansionistica, riconquistando i territori perduti e occupando la zona della Siria settentrionale. La rinascita dell'impero avvenne a opera del re Suppiluliuma, il quale dette alla monarchia ittita lo stesso valore di quella egiziana, copiandone i simboli dinastici.
Con i due lunghi regni di Suppiluliuma e di Mursili II la fisionomia politica del regno ittita cambiò profondamente, come dimostra un rilievo di Karkemish, nel quale è rappresentato un guerriero vestito alla maniera assira alla guida di un carro da guerra, al fine di incutere timore nella popolazione.
Così nel XIV secolo a.C. gli ittiti possedevano un vasto territorio che si estendeva dalle valli del Mediterraneo fino  all'Eufrate e alla Siria. Queste nuove conquiste provocarono delle sensibili trasformazioni soprattutto sul piano artistico e del costume. Infatti forti furono le influenze mesopotamiche ed egizie, come testimoniano le grandi sculture, giunte sino a noi, dei re rappresentati con abiti da cerimonia sacerdotali.
Tuttavia il nuovo impero continuò, come l'antico, ad avere le stesse caratteristiche di monarchia basata sulla forza dei guerrieri, una classe sociale che continuò a dedicarsi esclusivamente alla guerra, trascurando completamente le altre attività economiche e sociali. I dominatori considerarono sempre le classi popolari sottomesse e le tennero lontane dalla vita politica e culturale.

 

La fine dell'impero 

Dopo la morte di Mursili II salì al trono il figlio Muwatalli, che si trovò costretto ad affrontare e limitare il potere e l'espansione dei faraoni, i quali avevano infatti ripreso la loro politica espansionistica, dopo che gli stessi ittiti avevano occupato la regione della Siria.
Si ha notizia da fonti egizie della spettacolare battaglia di Kadesh, combattuta tra il re ittita e il faraone Ramsete II. Essa è stata considerata una delle più grandi battaglie combattute nel mondo antico, per la particolarità del combattimento. Infatti grande fu lo stupore degli egizi nel trovarsi di fronte un esercito formato da truppe mercenarie, numericamente più piccolo, ma dotato di carri veloci trainati da cavalli con sopra tre persone, un auriga e due arcieri.
Immediatamente una delle cinque divisioni egizie fu annientata, ma alla fine si arrivò alle trattative di pace. La pace raggiunta fu resa più duratura con la celebrazione del matrimonio tra la figlia del re ittita e il faraone Ramsete II.
Questa battaglia tuttavia segnò la fine del regno ittita e l'inizio del declino dell'imperialismo egizio.
Ma la scomparsa dell'impero ittita fu completa in seguito all'irruzione intorno al 1200 a.C. dei cosiddetti "popoli del mare", sia perché lo stato ittita si era dimostrato molto fragile in quanto privo di profonde radici culturali e sociali, sia perché sul piano militare gli ittiti si rivelarono incapaci di affrontare i nuovi mezzi bellici utilizzati dai popoli del mare. I primi popoli che arrivarono in Anatolia furono gli achei che, come ricorda il poema omerico, assediarono la città di Troia e frantumarono la struttura politica unitaria degli ittiti, ponendo definitivamente fine al loro impero.

 

La religione 

La religione è l'aspetto più noto del mondo anatolico del II millennio a.C. Essa è il risultato di molte stratificazioni (dovute a forme religiose precedenti) e di influenze derivate dal contatto con le grandi civiltà mesopotamiche, grazie agli scambi commerciali.
I centri preittiti veneravano divinità proprie e culti particolari che non furono mai contrastati dai dominatori, i quali erano interessati unicamente alla riscossione dei tributi.
Tuttavia quando il nuovo impero ittita accentuò il carattere teocratico del monarca, il re dovette farsi riconoscere come unico mediatore tra gli uomini e tutte le divinità, anche quelle dei popoli sottomessi.
Le divinità erano molto numerose, ma, nonostante le diversità, tutte ebbero un fondo comune naturalistico e animistico, tipico delle popolazioni di pastori e agricoltori. Su tutte il dio della Tempesta (già trovato nel mondo degli hurriti col nome di Teshup) occupò un posto dominante.
Egli fu la divinità più temuta da tutte le genti indoeuropee, perché era in grado di scatenare le forze distruttrici del cielo. Gli ittiti lasciarono sopravvivere tutti i nomi delle divinità locali, ma le immagini a poco a poco si assimilarono fino a determinare una certa unità culturale. Nel mondo ittita alla religione fu strettamente legata la politica del sovrano, perché egli doveva farsi accettare da tutti i suoi legittimi sudditi.
Alle divinità si attribuiscono influssi benefici e/o malefici che influiscono sulla vita degli uomini, in particolare sulla vita degli agricoltori e dei pastori, i quali credono nel culto del dio Sole e del dio Tempesta, perché da essi dipende la fecondità della terra.
Anche presso il popolo ittita si svilupparono le arti magiche che dovevano servire ad allontanare eventi spiacevoli. A tale scopo (come già in Mesopotamia) si praticava l'arte del vaticinio, osservando i visceri degli animali.
Per rispondere a queste esigenze furono costruiti numerosi templi, curati dai sacerdoti che compivano sacrifici, anche umani, e che presiedevano alle numerose cerimonie religiose.

 

La cultura 

Sul piano culturale le testimonianze rivelano il carattere limitato di questo impero. Infatti netta fu sempre la spaccatura tra l'ambiente della corte nella città e l'ambiente dei villaggi, dove la popolazione viveva una vita modesta e separata da quella delle classi superiori.
I contenuti di questa cultura furono di derivazione hurrita, ma assimilati e rivitalizzati secondo la visione del mondo propria degli ittiti.
È attraverso la lingua che si evidenzia la scarsa unità culturale di questo popolo. Infatti, i popoli indoeuropei non furono in grado di rendere la propria lingua comune a tutti e furono perciò costretti a mantenere il linguaggio sumerico in campo religioso e l'accadico in campo diplomatico. Furono mantenuti inoltre i caratteri cuneiformi scritti su tavolette d'argilla, gli stessi che venivano usati dai mercanti assiri.

 

Creta e Micene

La Grecia: una penisola in mezzo al mare 

La Grecia costituisce la parte meridionale della penisola balcanica. Questa regione è attraversata da impervie catene montuose che rendono difficili le comunicazioni per via terra. Le coste sono frastagliate e ricche di insenature, golfi e promontori. Ogni zona, anche la più interna, è in contatto più o meno diretto con il mare. Questo fatto, insieme all'impraticabilità di gran parte del territorio, spiega la ragione per cui quasi tutti gli spostamenti avvengano, da tempo immemorabile, via mare.
Già nel 7000 a.C. gli abitanti dell'Argolide praticavano la pesca in mare e facevano la spola tra la loro terra e l'isola di Melo per importare l'ossidiana (cristallo di origine vulcanica impiegato per la fabbricazione di lame affilatissime).
L'evoluzione storico-culturale delle civiltà della Grecia antica si deve soprattutto alla posizione centrale della penisola, importante zona di passaggio dei traffici dall'Asia Minore verso l'Italia e l'Occidente, dall'Egitto e dall'Africa verso i Balcani e il Nord. Si pensi per esempio alla pratica, in questa pur arida terra, di una prima attività agricola: l'arte di coltivare foraggi fu appresa probabilmente attraverso i flussi migratori provenienti dall'Asia sudoccidentale che ne conosceva ormai i segreti.

 

I primordi della civiltà greca  

È assai probabile che i primi insediamenti agricoli siano avvenuti intorno al 6500 a.C. con la costruzione dei villaggi di Nea Nicomedia (a nord-est di Tessalonica) e di Sesklo (in Tessaglia). In particolare le popolazioni di Sesklo erano in grado di lavorare la ceramica. Fabbricavano statuine raffiguranti corpi femminili di forme rotondeggianti, simbolo di fertilità, e vivevano in abitazioni dalla forma singolare, simile a tumuli.
Prima del 5000 a.C. altre popolazioni provenienti da oriente si insediarono a Creta, dove introdussero l'allevamento di bovini, ovini e suini. La scoperta e la lavorazione del rame in Grecia si deve invece ad alcune popolazioni del Medio Oriente, che erano giunte nelle isole Cicladi prima del 4000 a.C.
Il rame, come sappiamo, serviva per la produzione non solo di strumenti agricoli, ma soprattutto di armi. Ecco perché a un certo punto scoppiò una vera e propria lotta per l'accaparramento e il controllo del commercio di tale metallo: infatti, i popoli che ne possedevano il dominio potevano prevalere militarmente su tutti gli altri.
Più tardi alla richiesta di rame si affiancò quella altrettanto importante di stagno. La fusione di questi due metalli, come ben sapevano i Sumeri, dava origine al bronzo, un altro metallo molto duro e quindi assai adatto per la fabbricazione di armi più resistenti. Il commercio dello stagno portò alla costruzione di fortezze sicure lungo il tratto da percorrere verso il nord, che servivano come depositi o stazioni di servizio. Da una di queste sorse il nucleo originario di Troia.

 

Le nuove immigrazioni 

Nel 2500 a.C. circa nuove immigrazioni interessarono tutta l'area dell'Egeo. Si ebbe una fusione di razze e di culture diverse che portò alla costruzione di nuovi villaggi: Lerna, Micene e Tirinto. A nord le ondate migratorie ebbero come effetto la distruzione della cultura di Sesklo. A una ceramica dipinta con colori vivaci e brillanti, si sostituì la produzione di manufatti di colore scuro e ricca di disegni geometrici.
Inoltre attorno ai villaggi furono costruite delle mura, segno del prevalere di una cultura bellica sull'originaria mentalità agricola e matriarcale.

 

L'isola di Creta 

Fu a Creta che si sviluppò una delle civiltà più fiorenti che siano mai esistite nell'antica Grecia. Situata tra il Peloponneso a ovest, Rodi e l'Asia a est, l'Africa a sud, Creta riuscì facilmente sin dall'inizio a imporre il proprio dominio sui mari (la cosiddetta talassocrazia cretese). Sviluppò un'intensa attività commerciale con l'Egitto, la Siria, l'Asia Minore, l'isola di Cipro, la Grecia e le città dell'Argolide, tra le quali Micene.
Le merci esportate erano olio, vino, tessuti, lana, oggetti di bronzo o di terracotta, gioielli.
Fulcro di questa ricca civiltà era Cnosso, una città di grande splendore con un magnifico palazzo al centro, più volte ricostruito in seguito agli spaventosi cataclismi che sconvolsero l'isola nel 1730 a.C. e nel 1570 a.C. Nel 1520 a.C. un'eruzione vulcanica distrusse gran parte della vicina isola di Tera e, poco più tardi, nel 1480 a.C., l'esplosione del cono del vulcano provocò una mareggiata che arrivò a colpire le coste della penisola greca.
Le onde gigantesche giunsero anche a Creta, provocando morte e distruzione in gran parte dei villaggi dell'isola. Cnosso, posta su una collina, riuscì non solo a salvarsi, ma anche ad ampliare il suo territorio, divenendo una delle città più grandi del tempo.

 

Il palazzo di Cnosso 

Sede dell'attività politica e religiosa era il palazzo di Cnosso, dove risiedevano i principi. Il palazzo, con un grande cortile rettangolare al centro, era un groviglio di corridoi, scalinate, vani luce, sale del trono o per le udienze, botteghe per gli artigiani, uffici per l'amministrazione, magazzini per conservare grosse quantità di olio, di vino e di cereali.
Nella mitologia greca entrò con il nome di "labirinto". Il termine deriva da Labrys, parola di uso comune in Caria (una regione a est della Ionia), che indicava l'ascia sacra di un re guerriero venerato in un santuario, detto Labranda.
La parola "labirinto" corrisponde forse a "Labranda", e, nel caso della costruzione di Cnosso, significherebbe appunto "Palazzo della Duplice Ascia". Per i cretesi l'ascia costituiva, oltre che un simbolo di potere, anche un emblema religioso, come del resto lo erano le corna di toro. Queste erano una chiara allusione al gioco sacro del volteggio sul toro, uno spettacolo consistente in pericolose acrobazie compiute da atleti sul dorso dell'animale.
Il palazzo conteneva il cosiddetto mégaron della regina, un appartamento isolato destinato probabilmente alla consorte del re. In una sala speciale era posta una statua della Grande Dea, la divinità principale. Questa era venerata come terra-madre, regina dei cieli e degli inferi, dominatrice degli uomini, degli animali e delle piante.
Cnosso non era l'unica città di Creta a possedere un palazzo. Feso, Aghia Triada e Mallia ne possedevano uno del tutto simile. Attorno ai palazzi furono costruite le case d'abitazione della popolazione: a due piani quelle dei cittadini più ricchi, a un piano solo quelle del popolo minuto. La massa della popolazione era assoggettata completamente al sovrano, al quale pagava periodicamente un tributo in natura.

 

La civiltà cretese 

Lo sviluppo della civiltà cretese avvenne all'improvviso, nel Minoico medio. Risalgono a questo periodo le collane di terracotta blu che sono state ritrovate negli scavi archeologici e che probabilmente erano importate dall'Egitto, insieme all'avorio; testimonianza, questa, dell'incremento del commercio. Sono stati rinvenuti anche gioielli in oro finemente lavorati e bellissimi vasi di marmo (provenienti dalla stessa Creta).
Nella terza fase del Minoico medio la civiltà cretese raggiunse il suo massimo splendore. I palazzi vennero ricostruiti più imponenti e grandiosi di quelli distrutti dal terremoto. L'arte si volse in ogni sua manifestazione a un vivo naturalismo. Si cominciarono a scrivere i primi resoconti amministrativi su tavolette. La scrittura sillabica di questo periodo, definita Lineare A, traeva probabilmente le sue origini da un precedente sistema geroglifico simile a quello utilizzato dalla civiltà egizia.
Tuttavia, a conclusione del periodo del tardo Minoico, si riscontra una stanchezza e un dissolvimento della fresca originalità di quest'arte e si delinea un irrigidimento formalistico.

La crisi economica e il declino di Creta 

Lo sviluppo cretese perdurò fino al 1400 a.C. Subito dopo cominciò a verificarsi un calo nel commercio con la Siria e l'arte si fece decadente. Unica nota positiva fu il passaggio dalla scrittura Lineare A alla scrittura Lineare B, decifrata nel 1952 da Michel Ventris e identificata con una forma di greco arcaico.
Già a partire dal 1300 a.C. la crisi economica divenne quasi insostenibile.
I cretesi, dominatori incontrastati dei mari, si trovarono a un certo punto a fronteggiare la temibile concorrenza delle fiorenti città della Grecia continentale e in particolare di quelle dell'Argolide, quali Micene.
Quest'ultima approfittò di un momento di debolezza del governo cretese per prenderne il potere. Infatti in seguito a un terribile terremoto che distrusse il palazzo di Cnosso, le navi elleniche sbarcarono sulle coste dell'isola e ne saccheggiarono i palazzi, segnando così la fine di una grande civiltà.

 

La civiltà micenea 

Intorno al 2200 a.C., anno della distruzione di Lerna (città che si affaccia sul Peloponneso), si registrarono dei rivolgimenti su tutto il territorio greco, dovuti a un flusso migratorio di origine indo-europea. Gli achei, con questo nome vennero chiamati i nuovi immigrati, si stabilirono a mano a mano un po' dovunque nella penisola.
Inizialmente essi erano dei pastori in grado di praticare una forma primitiva di agricoltura. Più tardi, mescolandosi con le popolazioni indigene, fondarono un certo numero di villaggi e città governate da una monarchia. I centri più importanti abitati dagli achei furono: Micene, Tirinto, Argo (in Argolide); Atene (in Attica); Pilo (in Messenia); Tebe (in Beozia); Iolco (in Tessaglia).

 

L'influenza di Creta 

Micene, come molte altre città greche affacciate sul mare, fu costretta a subire per diversi secoli la supremazia commerciale di Creta. Tuttavia, il contatto con questa grande civiltà servì a trasformare un popolo di pastori, quali erano i micenei, in abili e audaci marinai, pronti ad avviare traffici propri con i paesi più lontani e a sfidare il dominio cretese nelle sue stesse rotte commerciali.
Alla fine, con la caduta di Cnosso, Micene poté esercitare un controllo incontrastato su tutti i mari, divenendo, in questo modo, il centro di una nuova potenza politica ed economica.
La civiltà micenea possiede molti aspetti in comune con quella cretese. Basti pensare alla scrittura sillabica Lineare B, alle tecniche di lavorazione della ceramica, all'uso di erigere immensi palazzi al centro delle città, ad alcune consuetudini funerarie e di culto religioso: tutti elementi della civiltà cretese che ritroviamo anche in quella micenea.

 

I palazzi micenei 

La lezione cretese viene appresa dai micenei in modo del tutto indipendente, adattandola al proprio gusto e alle proprie necessità.
Così i palazzi principeschi non sono, come a Creta, luoghi lussuosi di abitazione, ma rocche fortificate, costruite sulla base di criteri di difesa militare. I palazzi di Tirinto e Micene non hanno il vasto cortile centrale, ma un porticato d'accesso, un vestibolo e un mégaron. L'architettura micenea quindi costituisce la viva testimonianza di un popolo di guerrieri. Le stesse città sorgono su dei rilievi dai quali è possibile dominare a lunga distanza le zone circostanti. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce armi di grande robustezza e varietà. È noto che i micenei utilizzavano un cocchio da guerra trainato da cavalli, mezzo il cui uso era pressoché sconosciuto dai cretesi.
I re di Micene, a differenza dei monarchi della civiltà cretese, venivano seppelliti nelle tombe a fossa, insieme a tutte le loro armi. Successivamente furono adottati i sepolcri a thólos (cupola), celebri per la loro grandiosità.

 

L'apogeo di Argo e Micene e la guerra di Troia 

Tra il 1400 e il 1200 a.C. si registra una fase di apogeo e di diffusione massima della civiltà di Argo e Micene. Durante questi due secoli infatti i micenei e gli altri greci impongono il loro dominio su tutto l'Egeo. In particolare si trovano tracce della civiltà micenea, oltre che a Creta, anche nell'isola di Citera, in Laconia, in Messenia, in Olimpia, nel Peloponneso, a Delfi, a Egina, nell'Attica, in Beozia e in Tessaglia.
L'espansione di Micene raggiunge in poco tempo non solo le coste dell'Asia Minore, diffondendosi in Siria e in Tracia, ma anche quelle dell'Italia, occupando la Sicilia e le zone del litorale Adriatico, e persino della Spagna.
A questo ciclo di attività marinara e, al contempo, di conquista si deve riferire la guerra con la città di Troia. Questa, situata nella Troade, una regione asiatica di fronte all'isola di Lemno, controllava la via degli Stretti, impedendo così i commerci di grano con le città del mar Nero e l'avanzata verso quell'area. All'impresa bellica contro Troia parteciparono tutti gli achei, che riuscirono, dopo un lungo assedio, a distruggere la città. Di questa azione bellica i greci conservarono memoria attraverso i canti poetici degli aedi di corte (o cantori), i quali ne celebrarono le vicende eroiche.
Omero infine raccolse tutti questi canti in un'unica epopea, anche se non si possono escludere ulteriori rimaneggiamenti in tempi successivi. Salvo che in alcuni passi, frutto di integrazioni posteriori, l'opera appare essenzialmente come la descrizione della società micenea. Perciò essa costituisce un documento fondamentale, insieme alle 4000 tavolette in scrittura Lineare B (trovate durante gli scavi a Cnosso e a Pilo).

 

L'organizzazione politica e sociale 

Da queste testimonianze traspare un'organizzazione politica che aveva per base una monarchia assoluta, di diritto ereditario. Il sovrano veniva chiamato wànax e rivendicava la propria autorità direttamente da Zeus (la divinità principale). Egli era giudice e sacerdote supremo, comandante dell'esercito con potere di vita e di morte.
Il sovrano veniva coadiuvato da un consiglio di anziani, con poteri solo consultivi, i cosiddetti heqétai (compagni), e da un'assemblea del popolo. I nobili erano dediti alla guerra e alla caccia. Il popolo invece, era costituito prevalentemente da pastori, contadini, commercianti e artigiani.
Si ha notizia di un regime di proprietà molto preciso, che serviva a regolare i diritti del re, dei nobili e dei sacerdoti sui terreni destinati alla pastorizia e all'agricoltura. Inoltre ciascun regno era suddiviso in province e distretti amministrativi, abitati dal dàmos.
Vista nel suo complesso la società micenea non è prospera e ricca.
Alla fine del 1300 a.C. è già possibile individuare le dissociazioni interne. Inoltre si presentano sintomatici dissidi di classe che di lì a poco scoppieranno in forma aperta, mettendo in crisi il sistema. Il collasso della civiltà micenea può essere ricondotto a questa crisi di ordine sociale e istituzionale, che interessa tutti i paesi dell'Egeo.
La distruzione delle città di Micene, di Pilo e di Iolco fu opera probabilmente dei dori, una popolazione di stirpe ellenica fino a quel momento rimasta nella regione settentrionale della penisola, che intorno al 1200 a.C. segnò il tramonto della civiltà micenea.

 

La cronologia delle civiltà dell'Egeo

 

Le civiltà più antiche e più significative della storia della Grecia sono quelle delle Cicladi, di Creta e di Micene. L'epoca nella quale queste civiltà si sono sviluppate viene comunemente definita età egea. La prima cronologia del periodo cretese si deve allo storico e archeologo Arthur Evans, che negli scavi del 1899 a Cnosso compì le prime scoperte relative ai resti di questa città e suddivise l'era cretese in tre fasi con relativi sottoperiodi.
Evans definì la civiltà cretese minoica, alludendo al leggendario re Minosse, del quale parla anche Omero nell'Odissea.
Secondo la mitologia greca infatti Minosse obbligò Atene, responsabile dell'assassinio di suo figlio, a pagare un tributo in fanciulli e vergini da offrire al Minotauro, creatura mostruosa rinchiusa nel Labirinto. Sembra ormai quasi certo che un re Minosse sia realmente esistito prima del 1400 a.C., al culmine della potenza cretese. Comunque gran parte degli storici concordano nel ritenere che "Minosse" sia stato l'appellativo per il re legislatore e sacerdote, figura di mediatore tra le divinità e gli uomini. Molti studiosi non giudicano corretta la denominazione "minoica" per l'era cretese.
Oggi si ritiene più corretto parlare di un'età del bronzo cretese all'interno della quale si distinguono tre periodi: quello del prepalazzo, del primo palazzo e del secondo palazzo. Tuttavia il termine "minoico" non è entrato in disuso, anzi esso continua a definire per convenzione la civiltà cretese. Pertanto la cronologia generale dell'età egea, che precede l'affermazione della pòlis classica, si può stabilire come segue:

 

Anni a.C.       Creta                                Isole Cicladi                Penisola ellenica
3000               Neolitico                          Neolitico                      Neolitico
2500               Minoico Antico               Cicladico Antico         Elladico Antico
                                                                                                       - Distruzione di Lerna
2000               Minoico Medio                Cicladico Antico         - Achei in Grecia
                       -Primo Palazzo               Cicladico Medio          Elladico Medio
                                                                 - Scrittura
1900              
1800              
1700               - Nuovo Palazzo
1600                                                                                               - Monarchie micenee
1500               Minoico Recente            Cicladico Recente      Miceneo
                       Conquista achea            Eruzione di Tera         tombe a fossa
1400               Distruzione di Cnosso
1300                                                                                               - Scrittura lineare B
1200                                                                                               - Distruzione di Pilo
                                                                                                       - Invasione dorica

 

 

 

Le "poleis" greche

Il Medioevo ellenico 

Con il crollo della civiltà micenea si chiude l'età egea, un'epoca particolarmente omogenea caratterizzata, come abbiamo visto, dalla fondazione di grandi città e dallo sviluppo di un'economia mercantile. Dal 1200 all'800 a.C. la Grecia antica vive un periodo "buio", che per analogia a quanto accadde in Europa dopo le invasioni dei barbari e la destabilizzazione dell'ordinamento romano, viene comunemente definito Medioevo ellenico. Durante quest'epoca, a causa della crisi che si verificò nei traffici commerciali, si registra un consistente aumento della povertà, sia nei villaggi sia nelle città, e un sensibile calo demografico. Dal punto di vista culturale, mancano le innovazioni in campo artistico e letterario.
Lo stesso sistema di scrittura Lineare B cade a mano a mano in disuso, fino a scomparire del tutto. Probabilmente esso era appannaggio di pochi scribi di corte, che, una volta distrutto il palazzo nel quale prestavano i loro servigi, non ne trasmisero l'insegnamento ad altri. Furono necessari tre secoli perché la Grecia potesse sperimentare un nuovo tipo di scrittura. Infatti solo nell'800 a.C., in seguito a una serie di più intensi rapporti con l'Asia Minore, i greci impararono a usare la scrittura alfabetica elaborata dai fenici, trasformandola in un sistema fonematico, ossia in un tipo di scrittura in cui a ogni segno corrisponde un suono (o fonema).

 

Gli aspetti più evidenti dell'epoca 

Proprio a causa della scarsità dei documenti che risalgono a questo periodo, non è possibile ricostruire gli eventi del Medioevo ellenico senza scadere inevitabilmente in una certa approssimazione cronologica. Tuttavia si possono tracciare le linee generali di quest'epoca descrivendone gli aspetti più salienti.
Da un punto di vista strettamente politico, la figura del monarca perde completamente di autorevolezza e sacralità. I suoi poteri assai limitati sono solo quelli che un'aristocrazia sempre più influente è disposta a riconoscergli.
In campo economico, i greci cessano di essere i grandi dominatori del commercio nei mari. Al loro posto si affermano i fenici. Ma nel frattempo i popoli dell'Egeo scoprono il ferro e imparano a costruire armi più resistenti. L'arte della ceramica subisce un cambiamento, specialmente nella decorazione in cui allo stile naturalistico viene sostituito quello geometrico. Nascono i primi templi e ai riti funebri micenei si sostituiscono i riti di cremazione.

 

La prima colonizzazione 

Uno dei fenomeni più importanti del Medioevo ellenico è lo straordinario spostamento di popolazioni dalla penisola greca verso territori dell'Oriente, avvenuto tra il 1200 e il 1000 a.C. Questo movimento viene chiamato prima colonizzazione per distinguerlo da quello successivo iniziato nell'800 a.C. dalle caratteristiche differenti.
A produrlo fu soprattutto la necessità per i greci di trovare terre fertili, in grado di dare sostentamento e stabilità economica, insieme anche al bisogno di ottenere una sistemazione più adeguata dopo la grande ondata di sconvolgimenti avvenuti in Grecia, che avevano mutato radicalmente le prospettive di vita della popolazione.
La prima colonizzazione fu condotta sulla base di iniziative private ed ebbe carattere agricolo.
I primi popoli a emigrare furono i beoti, che andarono a occupare la parte settentrionale della costa dell'Asia Minore, la Troade, e la zona a sud di essa fino alla foce del fiume Ermo. I coloni beoti fissarono il loro centro principale a Cuma (in Eolide). Successivamente si spostarono gli ioni, che si stabilirono tra la foce dell'Ermo e quello del Meandro, nella zona centrale dell'Asia Minore (Ionia). Gli ioni fondarono colonie assai fiorenti tra le quali Smirne, Focea, Mileto ed Efeso.
Gli ultimi a muoversi furono gli acheo-dori, che si stanziarono nella parte meridionale delle coste asiatiche, facendo sorgere città di rilievo come Cnido e Alicarnasso (Doride).
Le nuove colonie greche in Asia Minore esercitarono un ruolo di grande importanza nei contatti del mondo ellenico con l'Oriente, facilitando gli scambi culturali e commerciali.
L'età arcaica e la nascita delle città-stato (póleis
Il tramonto del Medioevo ellenico segna la conclusione di un periodo di assestamento delle popolazioni della Grecia e l'avvio di un processo storico che durerà fino all'età classica. Si tratta di quella che viene solitamente definita età arcaica della Grecia antica e che va dall'800 al 500 a.C.
Durante questi tre secoli le città greche mutano aspetto politico e sociale, dando luogo a vere e proprie città-stato (pòlis), forme di democrazia paragonabili a quelle occidentali moderne. Inoltre, sempre nel corso di questa epoca, si verifica un grande e articolato movimento di colonizzazione, che interessa, questa volta, non soltanto le aree dell'Egeo e dell'Asia Minore, ma anche quelle ben più lontane del Mediterraneo e del mar Nero.
Il progressivo indebolimento della monarchia a opera della classe degli aristocratici, messo in atto già durante il Medioevo ellenico, viene portato a termine nell'800 a.C.

 

L'aristocrazia 

L'aristocrazia (dal greco àristos, il migliore, e kràtos, governo) era una classe formata da grandi proprietari terrieri e da influenti membri dell'esercito a cavallo, che facevano discendere le loro origini da un ceppo familiare (in greco ghénos) fondato da un nobile antenato. Gli aristocratici assunsero il potere sulla città e instaurarono solidi regimi, escludendo dal governo della città la massa del popolo, composta da artigiani, mercanti, marinai, contadini e piccoli proprietari di terre.
Per poter seguire meglio la vita politica, molti nobili si trasferirono in città, creando dei veri centri di direzione dello stato. Nacque così la pòlis, principale sede politica, economica e militare, circondata da mura e costruita intorno a un tempio consacrato alla divinità protettrice. Essa era costituita da un'acropoli per la difesa, da una piazza per il mercato e le riunioni della popolazione, e, spesso, da un porto in riva al mare o sulla foce di un corso d'acqua.
Ecco perché si affermarono le città collocate in posizioni geografiche più adatte al nuovo sistema sociale e produttivo della società greca. Tra queste vi erano Argo, Sparta, Atene, Tebe, Orcomeno, Tanagra, Platea, che pur sorgendo sui preesistenti centri micenei, rimasero dei punti fermi del mutato contesto politico della Grecia.

 

La vita sociale e l'economia 

L'attività commerciale e artigianale, fissatasi nella città, divenne predominante, anche se l'agricoltura rimase il fondamento dell'economia e dell'esistenza stessa dello stato. La popolazione cittadina, tranne i nobili, era raggruppata in  singole tribù, ciascuna delle quali era composta da diverse fratrie o aggregazioni di più famiglie.
Il rinnovamento generale delle strutture politiche e sociali non fu sufficiente a eliminare i contrasti e le lotte di classe all'interno delle pòleis. I regimi aristocratici si trovarono presto a fronteggiare l'opposizione dei nuovi ceti del popolo, che si battevano per una parificazione sociale e politica. Inoltre l'estensione dei traffici marittimi, lo sviluppo dell'artigianato, l'introduzione della moneta, l'incremento del commercio e della colonizzazione produssero una rapida evoluzione economica.

 

Il ceto medio e l'organizzazione militare 

Come conseguenza, si formò un consistente ceto medio che cominciò a rivendicare i propri diritti contro la minoranza aristocratica detentrice del potere.
Nell'ambito di questo conflitto sociale fu attuata la riforma dell'esercito, con la quale venne stabilita l'uguaglianza in guerra di diritti e doveri fra aristocratici e ceti popolari. Come primo effetto si ebbe la sostituzione degli ormai superati squadroni di cavalieri con i nuovi reparti di fanti, che indossavano armature in ferro ed erano maggiormente in grado di resistere all'urto provocato dalle schiere nemiche. In questo modo si rese possibile il passaggio dallo stato dei cavalieri a quello degli opliti.
Le nuove classi medie infatti, sentendosi indispensabili alla difesa della città, ritennero di dovere avere parte attiva nella vita pubblica.

 

I primi legislatori 

Richiesero e ottennero la promulgazione di leggi scritte, come la codificazione di norme consuetudinarie, al fine di sottrarle all'esclusiva e arbitraria interpretazione degli aristocratici. Il vecchio sistema giudiziario prevedeva norme che finivano per avvantaggiare i più ricchi ed erano perciò inique. Basti pensare alla legge che affidava alla vittima o ai suoi familiari (in caso di omicidio) il compito di decidere la punizione per il responsabile: questa poteva essere o la pena di morte o il versamento di una consistente somma di denaro. Risulta chiaro allora che chi non era in grado di versare l'indennizzo richiesto veniva automaticamente giustiziato.
L'opera di codificazione delle leggi scritte si deve a grandi legislatori, alcuni dei quali molto importanti come Zaleuco di Locri, Diocle di Siracusa, Caronda di Catania, che vissero nel VII secolo a.C. e nella prima metà del VI. Celebri furono anche Filolao di Tebe, Corinzio della gente dei Bacchiadi, e i legislatori di Atene, Dracone e Solone, e di Sparta, Licurgo.

 

I contrasti sociali 

Questi successi in ambito legislativo e giudiziario non riuscirono però a placare i contrasti sociali. Il potere economico dei commercianti continuamente in crescita, il rigido monopolio della direzione dello stato nelle mani dei nobili, una sempre più numerosa massa plebea pronta a sostenere ogni rinnovamento, e le continue guerre tra una città e l'altra, finirono per creare nuovi disordini. Un'equilibrata convivenza tra i ceti in conflitto e il declino definitivo dell'aristocrazia si verificò attraverso l'esercizio della tirannide. A un certo punto, quando la situazione divenne insostenibile, in ciascuna pòlis si levò un tiranno, di solito un nobile distaccato dal proprio ceto, che abbracciò gli interessi della classe dei commercianti e si impossessò con la forza del potere.

 

La tirannide 

La parola "tirannide" ha assunto un significato negativo solo in seguito; per i greci essa indicava la gestione del potere con sistemi non legittimati dalla consuetudine monarchica o aristocratica (quali l'ereditarietà). Le prime tirannidi si realizzarono nelle floride città dell'Asia Minore e soprattutto nella zona ionica, nella prima metà del VII secolo a.C. Tra queste si ricordano la tirannide di Efeso, imposta da Pitagora; di Mileto, nella quale si susseguirono Trasibulo, Toante, Damasenore e più tardi, Istieo e Aristagora; di Lesbo, con Melandro, Mirsilo e Pittaco; e di Samo, con il più famoso dei tiranni della Ionia, Policrate.
Nella seconda metà del VII secolo a.C. anche le città della Grecia cominciano a essere governate dai tiranni: in particolare quelle dell'Eubea e dell'istmo di Corinto. A Corinto si insediò il tiranno Cipselo e il figlio Periandro; a Megara, Teagene; a Sicione, gli Ortagoridi, tra i quali il celebre Clistene.
Non attecchisce la tirannide nelle regioni della zona centrale, in quelle dell'Occidente e del Peloponneso, a causa della supremazia di Sparta.
Nel VI e nel V secolo a.C. troviamo ancora tirannidi in Sicilia, nelle colonie della Magna Grecia, come Gela e Siracusa, guidate da Cleandro, Ippocrate e Gelone; e come Agrigento, retta da Terone.
Ma in Sicilia l'epoca dei tiranni più importanti giunse quando in Grecia erano sorte già le prime democrazie. In generale l'esperienza della tirannide si può ritenere conclusa su tutto il territorio greco alla fine del VI secolo a.C. Dopo questo periodo, nelle varie città-stato, si fondarono governi più democratici o si ritornò ai regimi aristocratici, ma più moderati. Il popolo delle pòleis aveva ormai acquisito una piena coscienza di sé ed era pronto a gestire direttamente l'amministrazione dello stato.

 

Il pàntheon greco 

I greci professavano una religione politeista non molto diversa da tutte le religioni, orientali e occidentali, dell'antichità. L'insieme di divinità che costituiva il pàntheon (dal greco pân, tutto e theòs, dio) ellenico abitava, secondo le credenze religiose, sul monte Olimpo (in Tessaglia), la vetta più elevata della penisola greca. I poeti e gli artisti greci contribuirono a organizzare i contenuti della religione popolare in una mitologia, che fu poi adottata e rielaborata dai romani e, attraverso questi, passò nella cultura occidentale.
Nella religione greca confluirono tradizioni orientali (della Siria e della Tracia) e indo-europee, le prime legate al culto di divinità terrestri e le seconde alla venerazione di divinità celesti.
La maggior parte delle informazioni delle quali disponiamo a proposito delle divinità greche proviene dalle opere omeriche (Iliade e Odissea). Omero presenta gli dèi come esseri immortali, dotati di grande forza e di incommensurabile bellezza, spinti nelle loro azioni dal fato (cieco destino) e dagli stessi sentimenti e passioni che animano i comportamenti dell'uomo. Gli dèi intervenivano nella vita degli uomini per accorrere in loro aiuto, o per danneggiarli, talvolta per capriccio.
Questa caratteristica li rendeva molto simili a dei monarchi non sempre guidati nel loro governo dal senso della giustizia e dell'equità.

 

Gli dei dell'Olimpo 

Il padre di tutti gli dèi e di tutti gli uomini era ritenuto Zeus, protettore delle istituzioni sociali e politiche come la famiglia e lo stato, supremo tutore dell'ospitalità, del giuramento e della protezione verso i supplici. Hera, la sua sposa, come tale, aveva la tutela delle mogli, dei matrimoni e di tutti i nascituri. Altre divinità assai venerate erano Atena e Apollo, figli di Zeus.
Atena era protettrice di molte città, tra le quali Atene, e rappresentava la saggezza nel governo e il valore nella guerra; alla sua intercessione si rimettevano gli artigiani e i coltivatori dell'ulivo, dei quali era benigna custode.
Apollo era dio della guerra e della salute, delle arti musicali e della danza, della bellezza maschile e della sapienza, a lui si appellavano gli oracoli per poter espletare l'arte della divinazione.
Inoltre vi erano: Demetra, dea del buon raccolto e delle leggi, anticamente venerata come dea-madre; Afrodite, dea dell'amore, della bellezza e della fecondità; Artemide, dea degli animali e delle piante selvatiche; Hermes, messaggero degli dèi, divinità protettrice dei viaggiatori, compresi i mercanti e le anime in cammino verso l'aldilà (il regno dell'Ade); Ares, dio della guerra e delle armi per eccellenza; Posidone, dio del mare; Efesto, dio del fuoco sotterraneo e dei fabbri; Ades, dio sovrano dei morti e dell'aldilà; Dioniso, incarnazione del piacere e della vitalità, dio del vino e dell'ebbrezza che esso produce.
Accanto a questo gruppo di divinità maggiori si veneravano altri dèi minori e alcuni eroi dai quali si facevano discendere le principali stirpi della nobiltà: eroi famosi furono, per esempio, Eracle, Teseo, Perseo, Edipo e i personaggi della guerra di Troia.

 

Trasformazioni della concezione della religione 

Fino all'VIII secolo a.C. nell'ambito della pòlis, la religione costituiva essenzialmente un elemento culturale, poco legato a un vero e proprio sentimento di fede. Ciascuna città venerava una o più divinità e, associato a queste, un eroe mitico del passato; ma il culto che essa riservava per i suoi dèi protettori aveva un significato politico-culturale, oltre che religioso, e veniva generalmente collocato all'interno di manifestazioni cittadine durante le quali si svolgevano anche grandiosi spettacoli (come rappresentazioni di tragedie o esibizioni sportive). Il culto era, insomma, considerato e vissuto come un atto civile qualunque e non come un elemento di vita personale e privata.
La religiosità dei greci subì qualche trasformazione nel VII secolo a.C. in concomitanza con il crollo del sistema monarchico delle pòleis. Il poeta Esiodo offre infatti un'immagine nuova di Zeus, che nella sua descrizione diventa il garante dell'imparzialità nel giudizio, colui che protegge l'uomo retto punendo chi si è macchiato di colpe.
L'avvento della filosofia ionica ebbe presso i greci un notevole impatto nel modo di concepire la divinità: Senofane, filosofo del VI secolo a.C., sostenne l'esistenza di un solo dio, introducendo così una visione monoteista che però restò appannaggio di pochi intellettuali e non riuscì a prevalere sul politeismo della massa.
Il popolo, dal canto suo, cominciò ad abbandonare il culto ufficiale per venerare divinità sentite più vicine ai propri bisogni quotidiani, quali per esempio Demetra e Dioniso. A queste si attribuivano i doni del pane e del vino, beni naturali di prima necessità. L'uomo greco trovava nel culto di Demetra e Dioniso consolazione delle sofferenze e dei mali, conforto di fronte alla morte delle persone care, e da essi poteva ricavare la speranza di un futuro più luminoso.

 

Le religioni misteriche 

Fu così che parti sempre più consistenti della popolazione si accostarono alle religioni cosiddette misteriche, culti ai quali si poteva accedere solo se iniziati. Le religioni misteriche promettevano la salvezza per tutti i neofiti, senza distinzione di condizione sociale.
I rituali segreti comprendevano atti di purificazione, danze e canti. Dedicati a Demetra erano i misteri eleusini, basati sul racconto del rapimento di Persefone, figlia della dea ed emblema della vegetazione, da parte di Ades (dio dei morti). Il culto celebrava il ritorno di Persefone e la rinascita della natura nel periodo di primavera, ma soprattutto metteva in risalto il doloroso vagabondare di Demetra alla ricerca della figlia prediletta. E quale altra esperienza fecero quei greci costretti, per fame o perché privi di terra, a emigrare, vagabondando in regioni lontane alla ricerca di una terra in cui risiedere?
Per molti di loro Demetra costituì la promessa di tempi migliori nei momenti più difficili. Così anche Dioniso, che varie leggende rappresentavano come fanciullo divino perseguitato, fu l'emblema della gioia nel riscatto, celebrato con riti e danze sfrenate.

 

La seconda colonizzazione 

Fu a partire dall'VIII secolo a.C. fino al VI, che si attuò un moto di colonizzazione senza precedenti nella storia dell'antica Grecia. L'ingente spostamento di popolazioni fu dovuto a varie ragioni: innanzitutto alle tensioni e ai rivolgimenti che incisero nelle forme di vita del popolo greco oltre che nelle strutture politiche e sociali delle città; in secondo luogo, alla difficile situazione economica delle pòleis greche durante il periodo arcaico. La crisi economica colpì soprattutto l'agricoltura. Infatti l'imporsi di un regime aristocratico dentro le pòleis determinò un'involuzione in questo settore, che investì in particolare la piccola proprietà a vantaggio del latifondo. Si formò così una classe di nullatenenti, artigiani e braccianti agricoli, alla quale si contrappose l'aristocrazia dei ricchi proprietari terrieri.
Nello scontro tra questi due ceti, coloro che uscirono perdenti abbandonarono il paese per recarsi altrove, in cerca di nuove terre nelle quali poter ricominciare. Le aree interessate dall'emigrazione erano assai estese e andavano dal mar Nero fino allo stretto di Gibilterra, per tutto l'arco del Mediterraneo.

 

Le principali colonie 

Nella prima metà del VII secolo a.C. i milesi si affacciarono sui mari settentrionali e fondarono stabilimenti commerciali sull'Ellesponto e sul mar Nero (chiamato anche Ponto Eusino, ossia "mare ospitale"): ad Abido, Czico, Cardia, Sinope, Cotiora, Cerasunte, Trapezunte, Amiso, Istro, Apollonia, Odessa, Tomi, Olbia, Teodosia, Panticapeo, Tanais. Dopo i milesi giunsero i focei, che fondarono Lampsaco, e i sami, che si stabilirono a Perinto. I calcidesi colonizzarono una vasta area, con città come Pidna e Metone.
Nella regione del mar Nero arrivarono colonie di eretriesi e di corinzi; i pari, a Taso; i chii a Maronea; i clazomeni ad Abdera; gli eoli asiatici ad Alopeconneso, Sesto, Madito; i megaresi a Calcedone, Bisanzio, Eraclea, Callatis, Chersoneso.
Nei mari d'occidente, in Italia e in Sicilia fiorirono numerose colonie quali Corcira, Siracusa (che era destinata a divenire, nell'arco di due secoli dalla fondazione, una delle più grandi e prospere città greche), Leucade, Ambracia, Apollonia ed Epidamno, fondate da Corinto; Agrigento, creata dai cretesi; Nasso, Leontini, Catania, Zancle, Reggio, Pitecusa, Cuma, Napoli, costituite dai calcidesi; Dicearchia, nella quale si stanziarono i sami, e Megara, Iblea, Selinunte, Minoa, nella quale si stabilirono i megaresi.
La parte occidentale della regione di Sicilia rimase esclusa dalla colonizzazione greca, perché già occupata nell'VIII-VII secolo a.C. dai cartaginesi (con gli stanziamenti di Mozia, Solunto, Panormo ed Erice).
Insieme ad altre stirpi gli achei occuparono parte della costa calabra e lucana, fondando le colonie di Metaponto, Sibari, Crotone, Scillezio, Caulonia. Agli ioni di Colofonte si attribuisce invece Siri; ai trezeni, Posidonia sul Tirreno; ai locresi Opunzi, Locri Epizefiri, Ipponio e Medma.
Anche Sparta, desiderosa di allontanare i gruppi di opposizione politicamente indesiderabili, fondò una colonia sullo Ionio, che fu chiamata Taranto. Nella zona salentina si stanziarono inoltre i rodi, che si erano anche stabiliti in Sicilia nella colonia di Gela.
L'occupazione da parte del popolo greco dell'Italia meridionale e della Sicilia fu quindi la più consistente e la più durevole nel tempo per gli effetti che produsse in termini economici e politici, ma anche di civiltà, tanto da meritare il nome di Magna Grecia.
Un ultimo settore di sviluppo coloniale si ebbe in Gallia e in Spagna, dove i focei crearono Messalia, Nicea, Rode, Emporie, Menaca, Tartesso lungo la costa fino allo stretto di Gibilterra. Da ricordare infine le colonie elleniche in Africa, come la prospera Cirene che, dopo essere stata fondata dai greci di Tera, si trasformò in breve tempo in un importante centro agricolo.

 

Le conseguenze della colonizzazione 

Le conseguenze della seconda colonizzazione furono molteplici. Sul piano economico, l'espansione coloniale favorì lo sviluppo dei commerci e l'incremento delle attività industriali e artigianali. A un'economia basata sull'agricoltura e ristretta all'ambito territoriale della pòlis si sostituì un'economia  a carattere commerciale. Il risultato fu che i greci subentrarono ai fenici nel controllo di tutti i mercati più importanti del Mediterraneo. Sul piano politico e sociale il movimento coloniale significò il rafforzamento delle classi medie e il crollo delle aristocrazie, con la realizzazione di forme di governo più democratiche nelle città-stato. La seconda colonizzazione si concluse nel corso del VI secolo a.C., a causa della potente pressione esercitata dai persiani in Oriente, dai cartaginesi e dagli etruschi in Occidente, che bloccarono ogni ulteriore tentativo di conquista di territori.

La fondazione di una colonia e l'oracolo di Delfi

 

La fondazione di una colonia era un evento improvviso e veniva scandito da un vero e proprio rituale. I coloni si muovevano sulla base di informazioni ricevute da naviganti, mercanti e viaggiatori, i quali al rientro in patria descrivevano i luoghi che avevano visitato ed esprimevano un giudizio. In tal modo veniva individuata la località nella quale si intendeva istituire una nuova colonia.
A questo punto si consultava l'oracolo di Delfi: il suo assenso era indispensabile per condurre la spedizione. Inoltre l'oracolo, attraverso i sacerdoti, completava le notizie sul luogo da colonizzare. Ciò era possibile perché il tempio di Apollo a Delfi era stato da sempre meta di pellegrinaggi da tutti i paesi. I suoi sacerdoti avevano raccolto un'infinita quantità di informazioni sulle terre del Mediterraneo e quindi erano in grado di indirizzare con sicurezza chi li consultava.

 

Coloni e madrepatria

 

Coloro che erano intenzionati a raggiungere la località prescelta si riunivano in gruppi e si preparavano con i propri mezzi ad affrontare la difficile impresa. La spedizione godeva del patrocinio della città dalla quale i coloni partivano ufficialmente: si trattava solo di un riconoscimento formale, che non implicava l'elargizione di un sostegno materiale. La madrepatria si limitava ad appoggiare l'iniziativa con sacrifici e cerimonie religiose volte a ottenere per essa la protezione delle divinità tutelari dello stato, del mare e della navigazione. L'unico aiuto concreto era l'attribuzione di un capo di grande esperienza e autorità, capace di guidarli nel viaggio e di presiedere alla fondazione della nuova colonia.
La scelta del luogo più adatto alla costituzione di una colonia era condotta sulla base di un attento esame della natura del sito, che doveva essere idoneo per una base marittima. Inoltre era fondamentale che la nuova città fosse situata lungo le rotte commerciali, in modo da diventarne un punto di convergenza. All'interno il terreno doveva essere fertile e coltivabile. Se nel primo stanziamento non si riscontravano sufficienti garanzie in tal senso, si mutava subito il luogo per la collocazione del nucleo urbano.

 

La conquista del territorio e l'organizzazione della colonia

 

In genere la conquista del territorio adatto all'insediamento della colonia si svolgeva pacificamente. Talvolta però sorgevano dei conflitti con gli indigeni, i quali dopo essere stati sottomessi dai coloni, venivano ridotti in schiavitù e costretti a lavorare nei campi. I confini della colonia venivano fissati all'arrivo. L'area occupata veniva misurata, suddivisa in lotti uguali e inalienabili (detti klêroi) e quindi assegnata alle varie famiglie che avevano partecipato alla spedizione. Alcune zone, situate al confine, rimanevano di proprietà statale. Esse servivano per dare terra ai coloni della stessa madrepatria che arrivavano in un secondo momento.
Nella nuova città i coloni trasferivano tutte le consuetudini, le credenze religiose, la lingua, la cultura e le istituzioni della patria, rimanendo fedelmente legati a essa. Nonostante la colonia fosse autonoma, manteneva intensi rapporti politici e commerciali con la madrepatria, tanto da diventarne presto un potente alleato.
Questo legame così serrato che si era stabilito tra la colonia e la madre patria si rivelava particolarmente utile in caso di guerra in quanto colonia e madrepatria si sarebbero schierate fianco a fianco.

 

 

Sparta e Atene

Oligarchia a Sparta e democrazia ad Atene  

La storia greca antica gravita attorno a due città influenti, che furono alternativamente alleate e nemiche: Sparta e Atene. In esse trovarono piena espressione due differenti ideologie politiche: quella dorico-spartana di origine aristocratica, che diede vita a un sistema di rigida impostazione oligarchica, del tutto chiuso al rinnovamento e alla trasformazione; e quella ionico-ateniese, dalla quale sorse un ordinamento democratico, aperto ai cambiamenti, in un ambiente culturalmente vivace e capace di adeguarsi all'evoluzione dei tempi.

 

Sparta 

Sparta fu fondata all'incirca nel X secolo a.C. dalle genti doriche, che durante l'epoca micenea erano penetrate nella regione del Peloponneso e si erano stabilite nella Laconia settentrionale, alla base del monte Taigeto, nella valle del fiume Eurota. Poiché avevano occupato con la forza un territorio densamente abitato e ricco di coltivazioni, i nuovi arrivati, chiamati spartiati o lacedemoni, furono costretti a instaurare un ordinamento politico e militare assai rigido. Essi riuscirono, così, a sostenere la conquista armata del territorio, pur trovandosi di fronte una popolazione sottomessa, ma ostile, pronta a impugnare le armi contro gli invasori.
Facevano parte di questa popolazione indigena i perieci, che avevano potuto mantenere la loro libertà individuale senza però godere di diritti politici, e gli iloti, che invece erano stati ridotti in schiavitù ed erano impiegati in guerra come fanteria con armi leggere.

 

Gli spartiati 

Gli unici cittadini dotati di tutti i diritti erano quindi gli spartiati, che abitavano le cinque circoscrizioni in cui era suddivisa Sparta, ossia Pitane, Limne, Mesoa, Cinosura e Amicle. Il loro compito era esclusivamente quello di gestire la vita politica e di dedicarsi alle mansioni militari. Per questa ragione la legge prescriveva per loro il divieto assoluto di occuparsi di lavori agricoli, commerciali e artigianali. Essi non potevano né arricchirsi né vivere nel lusso: ogni tentativo che poteva porli in una posizione di superiorità rispetto alla massa era soffocato sul nascere. Lo spartiate aveva diritto a un lotto di quindici ettari, che venivano coltivati dagli iloti. I lotti erano inalienabili, ma potevano essere accresciuti in estensione. La legge spartana, infatti, prescriveva che ogni klêros dovesse essere lasciato intatto perché passasse in eredità al primogenito.
Agli altri figli non restava che acquistare i lotti rimasti indivisi, oppure, se la famiglia non disponeva di adeguati mezzi finanziari, perdere ogni diritto politico. Questa norma legislativa con il passar del tempo provocò un sensibile calo demografico nella popolazione spartiate, sempre più spinta a limitare le nascite per non mettere in difficoltà il nucleo familiare.

 

Vita dura e difficile per gli spartiati 

Nonostante i privilegi, la vita di uno spartiate era molto difficile e dura. Ogni bambino di sette anni, la costituzione del quale promettesse una crescita sana e robusta, veniva prelevato dalla famiglia e preso in cura dallo stato, che, attraverso un rigido addestramento, lo preparava all'esercito. La vita militare durava dai 20 fino ai 60 anni, in un primo momento in servizio attivo, poi come riserva.
Ciascuno spartiate era obbligato per legge a non isolarsi e a fare vita comunitaria: a tal fine egli doveva sedere ai sissizi, le mense sociali che lo stato organizzava per favorire la familiarità tra i membri di questa classe, assicurando nel contempo la loro parità a livello economico. L'uniformità economica era un principio costituzionale fondamentale, tanto che chi perdeva i requisiti di prestigio richiesti era costretto a decadere dalla categoria dei "pari" a quella dei "cittadini di minor diritto".
Ecco perché a un certo punto a Sparta si formò un'oligarchia su basi economiche all'interno della stessa aristocrazia.
Comunque Sparta fu la sola pòlis nella quale la monarchia, che assunse la forma singolare di una diarchia (con due re a dividersi il potere), restò in vita sino alla conquista romana.

 

Licurgo e la costituzione spartana 

Secondo la tradizione fu Licurgo l'autore della costituzione spartana. Egli visse, secondo la leggenda, nel X secolo a.C. Gli storici ritengono però che l'apparato costituzionale sul quale si reggeva lo stato di Sparta non fu opera di un solo legislatore, ma l'esito di una lunga evoluzione durata almeno due secoli di esperienze politiche e sociali. Gli organi fondamentali previsti dalla costituzione spartana erano: due re, una gherusìa, un'apèlla e cinque efori.
I re appartenevano alla famiglia degli Agiadi e a quella degli Euripontidi, due ceppi che si riconoscevano discendenti da Eracle. Il loro potere era limitato: essi avevano solo mansioni sacerdotali e giudiziarie su casi di secondaria importanza (come eredità, adozioni e altri). Presiedevano l'assemblea della gherusìa e avevano il comando dell'esercito in guerra. La loro carica era ereditaria, ma il diritto alla successione non era del primogenito, bensì del primo maschio nato dopo l'ascesa al trono del padre.

 

La gherusia, l'apella e gli efori 

La gherusìa era un senato formato da 28 membri eletti dall'assemblea generale degli spartiati e con più di 60 anni di età. I senatori, insieme ai due re, dovevano dirigere gli affari più importanti: dai trattati di pace alle dichiarazioni di guerra, dalle leggi all'amministrazione dello stato e della giustizia.
Tutti i cittadini spartiati con più di 30 anni di età invece formavano l'apella, un'assemblea che si riuniva una volta al mese in occasione del plenilunio. All'apella spettava il compito di eleggere i membri della gherusìa e gli efori. Inoltre essa poteva votare per acclamazione le leggi proposte dalla gherusìa: il suo impegno nella vita di governo era perciò solamente consultivo.
Gli efori erano cinque spartiati eletti ogni anno dal popolo su designazione del senato. A loro era affidato il potere esecutivo e con il passar del tempo riuscirono a imporsi su tutti gli altri organismi dello stato. La loro autorità crebbe a dismisura tanto che essi alla fine divennero il tribunale supremo al quale tutti, compresi i due re, erano soggetti.

 

L'espansione di Sparta e la Lega peloponnesiaca 

Forte del suo apparato militare, Sparta poteva disporre di un esercito di 6000 uomini, pronti a entrare in guerra in qualsiasi momento. Fu per questa superiorità militare che a un certo punto la città cominciò ad ampliare i propri confini e a imporre la propria egemonia nei territori del Peloponneso.
La prima regione conquistata dagli spartani fu la Messenia, in una guerra che durò dalla metà dell'VIII alla metà del VII secolo a.C. I messeni, anch'essi di origine dorica, dopo una strenua resistenza, furono sconfitti, mentre alcuni di loro furono costretti a emigrare con i calcidesi per fondare la colonia di Reggio (nell'attuale Calabria), altri a vivere come schiavi nella condizione degli iloti.
Durante la loro lotta contro gli spartani, i messeni avevano ricevuto aiuti dall'Arcadia, regione a nord della Laconia. In questo modo, una volta piegati i messeni, gli spartani si volsero anche contro gli arcadi, riuscendo a occuparne almeno una parte dei territori.
Poco più tardi strapparono all'Argolide il controllo di alcuni dei suoi distretti. Per poter mantenere saldo il dominio sulle città conquistate, Sparta impose loro rigide alleanze militari, che intorno al 500 a.C. furono organizzate in una più ampia confederazione chiamata col nome di Lega peloponnesiaca.
A questa confederazione organizzata da Sparta aderirono quasi tutti gli stati della regione del Peloponneso, fatta eccezione per la città di Argo, avversaria storica di Sparta insieme all'Acaia, che riuscì nell'intento di mantenersi autonoma grazie alla sua posizione geografica particolarmente fortunata.

 

Atene e l'unificazione dell'Attica 

Durante l'epoca minoico-micenea, la penisola attica era occupata dagli ioni, che diedero vita a una serie di città-stato indipendenti governate da monarchi. Tra queste la più potente fu certamente Atene, situata in una zona assai fertile, dotata di un grande porto commerciale nel Pireo.
Si deve ad Atene l'unificazione dell'intera regione. Secondo la leggenda, fu Teseo a compiere l'impresa, dopo aver liberato Atene dalla sudditanza nei confronti del re Minosse di Creta, che, come si è visto, l'obbligava al pagamento di pesanti tributi (anche in termini di vite umane). In realtà l'unificazione dell'Attica fu un processo graduale che si può dire concluso prima dell'arrivo dei dori nella penisola.
Analogamente a quanto avvenne in tutta la Grecia e in un'epoca parallela a quella dell'unificazione, anche in Attica si verificò il crollo del potere monarchico e il sorgere di governi aristocratici.

 

Gli arconti, l'areopago e l'ecclesia 

La direzione dello stato fu affidata a un collegio di durata annuale, preposto al controllo dell'applicazione delle leggi e composto in tutto da nove arconti.
Al primo posto vi era l'arconte eponimo con competenze giudiziarie; poi vi era l'arconte re che sostituiva il monarca e svolgeva compiti sacerdotali; seguiva l'arconte polemarco, a capo dell'esercito, e tutti gli altri arconti, tratti sempre dall'aristocrazia del paese. Accanto agli arconti vi era l'areopago, un'assemblea che comprendeva come membri nominati a vita tutti gli ex arconti che avessero svolto il loro servizio di magistrati correttamente. L'areopago aveva il potere di garantire il rispetto delle leggi e di emanare sentenze nei casi di omicidio e di delitti commessi contro lo stato. Esso era presieduto dall'arconte re.
Vi era infine l'ecclesia, l'assemblea generale di tutti i cittadini, che si riuniva solo per eleggere gli arconti e per registrare le decisioni prese dagli altri due organi dello stato. Di fatto il potere era nelle mani dei grandi proprietari terrieri appartenenti alle famiglie aristocratiche.

 

I contrasti tra le classi sociali 

Il ceto medio era escluso dall'attività pubblica. Da questa situazione di semisudditanza dei piccoli possidenti e dei commercianti scaturì un forte malcontento che esplose in violenti scontri tra le due classi. Il conflitto era aggravato dalla difficile situazione economica nella quale versava il paese.
Questa aveva prodotto una gran massa di debitori impossibilitati a pagare i propri debiti e quindi condotti alla schiavitù. La mancanza di leggi scritte, che permetteva all'aristocrazia di emettere sentenze giudiziarie a proprio favore e metteva di fatto il ceto medio nelle mani dei nobili, divenne a un certo punto motivo di forti tensioni che alimentarono gravi insurrezioni: le classi popolari spingevano perché si realizzassero finalmente riforme radicali dell'ordinamento pubblico chiedendo che le leggi fossero scritte, per poterle applicare con uguaglianza assoluta.

 

Dracone e Solone 

Dopo aspre lotte, i movimenti popolari riuscirono a ottenere una prima codificazione delle leggi. L'opera fu compiuta dall'arconte Dracone (624 a.C.), che così andò incontro alle esigenze del popolo (o dêmos), sottraendo l'applicazione delle leggi alla parzialità dei giudici.
Questo non bastò a placare i disordini diffusisi in Atene che, anzi, continuarono sempre più violenti per molti anni e ciò rischiò di mettere in crisi anche lo sviluppo sociale della città.
A tutto questo pose rimedio, nel 594 a.C., Solone, chiamato dai suoi concittadini a governare la città.
Esperto in legislazione, che conobbe nel corso dei suoi viaggi sia in Grecia sia in Asia, Solone attuò, per quei tempi, una riforma quasi rivoluzionaria che articolò in due settori: quello socio-economico e quello politico-militare. In primo luogo egli emanò una serie di leggi volte a sollevare le condizioni economiche del popolo. La sua prima preoccupazione furono i debiti: non solo vietò che, in caso di insolvenza, si ricorresse alla schiavitù del debitore, ma diede delle precise disposizioni perché fossero facilitati tutti i pagamenti. In secondo luogo scrisse una costituzione per adeguare i diritti e i doveri alle possibilità economiche del cittadino. A tal fine suddivise la popolazione in base allo stato di ricchezza anziché a quello di nobiltà.

 

La costituzione di Solone 

La popolazione di Atene venne quindi distribuita in quattro classi. La prima era quella dei pentacosiomedimni (dal greco pentakòsioi, che significa cinquecento), ossia dei grandi proprietari terrieri, il reddito dei quali era superiore ai 500 medimni di olio o di cereali o di vino (il medimno era un'unità di misura pari a 52 litri). Al secondo posto stavano i cavalieri, il cui reddito andava dai 500 ai 300 medimni. Seguivano gli zeugiti (dal greco zeûgos, che vuol dire giogo dei buoi), i piccoli proprietari terrieri, con un reddito tra i 300 e i 150 medimni. E infine vi erano i teti o braccianti agricoli, che disponevano di un reddito inferiore ai 150 medimni.
A questo punto, Solone fissò gli obblighi dei cittadini in corrispondenza al loro reddito. Pentacosiomedimni e cavalieri avevano il diritto di essere eletti nell'arcontato e il dovere di prestare servizio militare nella cavalleria. Gli zeugiti avevano il diritto di accedere alle magistrature minori e l'obbligo di prender parte alle battaglie come fanti. I teti non solo erano esclusi dal servizio militare, ma anche da ogni carica della magistratura e dal diritto di voto.
Per quanto concerne gli organi istituzionali, Solone mantenne l'arcontato, composto da nove membri, al quale spettava il potere esecutivo. Ciascun arconte veniva eletto ogni anno dall'ecclesia e doveva appartenere alle prime due classi.
L'ecclesia era l'assemblea composta da tutti cittadini, compresi i teti, che avessero compiuto almeno il ventesimo anno d'età. Il suo compito era quello di nominare gli arconti, approvare o respingere le leggi, decidere della pace e della guerra.
L'istituzione dell'areopago rimase tale e quale era stata precedentemente, ma al suo fianco fu posta l'eliea, il tribunale popolare d'appello, al quale ogni cittadino poteva ricorrere contro chi avesse compiuto qualsiasi reato, tranne l'omicidio (del quale poteva decidere soltanto l'areopago).

La tirannide dei Pisistratidi 

La riforma dello stato attuata da Solone non riuscì a soddisfare le classi medie e quelle povere. In fondo Solone aveva ideato una costituzione di natura timocratica (ossia fondata sul censo), rafforzando il potere delle classi ricche. I conflitti sociali esplosero subito più violenti generando un clima di totale incertezza economica e politica. In questo contesto si affermò Pisistrato, il quale approfittando della situazione conquistò con la forza il potere (560-528 a.C.).
Benché fosse un tiranno, Pisistrato non si limitò a sfruttare le risorse di Atene, anzi, si impegnò a farne una città efficiente e prospera: potenziò l'agricoltura, l'industria e il commercio; accolse letterati e poeti; organizzò una rete stradale capace di collegare Atene con i principali centri della Grecia; fece costruire numerosi edifici pubblici; incrementò i traffici, soprattutto marittimi, che lo spinsero a colonizzare alcune località dell'Ellesponto per controllare i commerci di grano con il mar Nero.
A Pisistrato successe il figlio Ippia (528-510 a.C.), che intese continuare l'opera del padre, ma si trovò a fronteggiare un'aristocrazia agguerrita, più che mai determinata a riacquistare il potere.
La morte del fratello Ipparco, assassinato da due aristocratici, Armodio e Aristogitone, a causa di una contesa privata, indusse Ippia a rendere più duro il regime. Nel 510 a.C. una rivolta, guidata dalla famiglia degli Alcmeonidi e sostenuta da Sparta, riuscì a rovesciare il tiranno e a mandarlo in esilio.
Con la cacciata di Ippia si chiuse per sempre la tirannide dei Pisistratidi su Atene.

 

Clistene e la riforma in senso democratico 

Allontanato da Atene il pericolo di una nuova tirannia, i vincitori si contesero il governo della città. Essi si divisero in due fazioni: quella capeggiata da Clistene, che pur essendo sostenuta dalla potente famiglia aristocratica degli Alcmeonidi, voleva dare alla città una costituzione democratica; e quella capeggiata da Isagora, che rappresentava il gruppo dei conservatori e intendeva restituire il potere all'aristocrazia, ricorrendo anche stavolta all'aiuto di Sparta.
Dopo una sanguinosissima lotta tra le due parti politiche, risultarono vittoriosi i sostenitori di Clistene, il quale eletto arconte eponimo nel 509 a.C., iniziò subito a realizzare le sue riforme.
Il suo obiettivo primario fu quello di stabilire un governo democratico in Atene, ristabilendo finalmente l'ordine tra le classi e annullando il predominio aristocratico. Decise una nuova suddivisione dei cittadini, basata non sulla nascita o sulla ricchezza, ma semplicemente sulla residenza.
Costituì infatti dieci circoscrizioni amministrative, ciascuna formata dagli abitanti della medesima area territoriale, di modo che i membri delle quattro classi della costituzione soloniana fossero equamente distribuiti in ognuna di esse. Le dieci tribù territoriali furono a loro volta divise in tre distretti: i pediei, abitanti della pianura; i diacrii, abitanti della montagna e i paralii, abitanti della costa.
Inoltre, perché tutte le tribù fossero rappresentate in egual misura, Clistene predispose che ogni magistratura fosse costituita da dieci membri, uno per tribù. Affidò il comando delle schiere dell'esercito a dieci strateghi, anch'essi provenienti da ciascuna tribù.

 

La bulé dei cinquecento 

Clistene istituì poi la cosiddetta bulè dei cinquecento, l'organo supremo del nuovo sistema statale ateniese.
I suoi membri venivano sorteggiati 50 per tribù. La bulè aveva il compito di preparare le leggi da presentare all'ecclesia; coadiuvare l'opera degli arconti; prendere le decisioni in politica estera; vigilare sull'amministrazione dello stato; sorvegliare l'esercito; sovrintendere ai lavori pubblici e prendersi cura del culto religioso.
Per garantire maggiore democraticità allo stato, Clistene stabilì che il potere esecutivo venisse esercitato a rotazione dai membri della bulè: così i 50 rappresentanti di ognuna delle 10 tribù potevano occupare la presidenza del consiglio del popolo per un periodo corrispondente alla decima parte dell'anno.
Assunta la carica della presidenza, essi venivano chiamati pritani (dal greco arcaico prìtaneis, che significa principi). I pritani avevano molti compiti delicati da svolgere, tra i quali quello di stabilire l'ordine del giorno della bulè e dell'ecclesia, vegliare sull'attività delle magistrature, emanare e far applicare le leggi. Al pomeriggio i pritani si riunivano per estrarre a sorte il nome di uno dei membri che avrebbe svolto le funzioni di ufficiale di servizio. La carica durava fino al tramonto del giorno successivo e non veniva mai attribuita per due volte alla stessa persona.
L'ufficiale di servizio doveva custodire i sigilli e le chiavi del tesoro dello stato. Egli, insieme a un comitato di 16 pritani da lui prescelti, alloggiava in un edificio apposito chiamato casa circolare, e doveva essere sempre a disposizione, giorno e notte, per poter provvedere in caso di pericolo immediato.

 

Il perfezionamento della democrazia ateniese 

Così grazie a Clistene, Atene era nella condizione di poter realizzare i valori della democrazia. Non si trattava comunque di una democrazia completa: in alcuni istituti, come, per esempio,  quello dell'areopago e dell'arcontato, restavano ancora tracce di una visione soloniana (e quindi conservatrice) dello stato.
I legislatori successivi a Clistene seppero perfezionare in senso democratico la struttura degli organi istituzionali. Temistocle ammise i teti a tutte le magistrature e alla carriera nell'esercito, consentendone la piena integrazione. Efialte passò tutte le inchieste giudiziarie al tribunale popolare dell'eliea, che soppiantò l'areopago.
Pericle aprì concretamente ai più poveri la possibilità di essere eletti nell'arcontato, fissando una indennità per chi avesse ricoperto funzioni pubbliche. In questo modo anche i meno abbienti poterono trascurare il lavoro per partecipare alla vita pubblica.
In ultima analisi, la costituzione di Clistene fu una tappa fondamentale nell'evoluzione storico-politica di Atene e lasciò un segno profondo nella sua anima, un segno destinato a perdurare per molto tempo ancora.

 

L'ostracismo

 

L'istituto più originale ideato da Clistene fu senza alcun dubbio quello dell'ostracismo. Ogni inverno l'ecclesia si riuniva per decidere se vi fosse un cittadino che dovesse essere messo al bando in quanto pericoloso per la città. Se attraverso il voto se ne appurava l'effettiva esistenza, allora iniziava una sorta di campagna elettorale contro questa o quella persona.
In primavera l'assemblea si riuniva ancora una volta per votare. Ciascun membro votava, in segreto, incidendo su un coccio (in greco òstrakon, da cui la parola ostrakismòs, ostracismo) il nome dell'uomo che a suo parere meritava di essere esiliato. La votazione era valida se erano presenti almeno 6000 cittadini.
Il cittadino più votato era obbligato a lasciare Atene entro 10 giorni e per 10 anni. In effetti non si trattava di una vera e propria condanna all'esilio, piuttosto di un allontanamento dalla città che, di per sé, non costituiva un disonore in quanto non implicava la perdita né dei suoi beni né della sua condizione sociale.
Gli scavi archeologici effettuati ad Atene hanno portato alla luce numerosi cocci che riportano il nome delle persone sottoposte a ostracismo. È interessante notare come i votanti spesso non si limitassero a scrivere il nome della persona che ritenevano dovesse essere espulsa dal paese, ma tracciassero a fianco degli epiteti quali "maledetto", "traditore" e simili.

 

Vittime eccelse dell'ostracismo: il caso di Temistocle

Clistene aveva introdotto l'ostracismo per allontanare da Atene i suoi peggiori nemici, come i sostenitori dei Pisistratidi, e scongiurare così la restaurazione della tirannide nella città. Ma con il passar del tempo l'istituto divenne un mezzo molto efficace per gli stessi oppositori al regime democratico, che più volte se ne servirono per eliminare insigni uomini politici, come accadde per Temistocle.
Il nome di questo abile legislatore compare moltissime volte negli òstrakon ritrovati, segno tangibile di una forte opposizione nei suoi confronti. Temistocle disponeva però di un partito molto organizzato che riusciva a dirigere i voti contro i suoi stessi oppositori.
Fu questo il caso di un contrasto tra Temistocle, che voleva ampliare la flotta ateniese perché la città potesse meglio difendersi da un'eventuale incursione persiana, e Aristide che invece era contrario: egli infatti rappresentava i ricchi proprietari terrieri che avrebbero dovuto provvedere a gran parte delle spese e che, facendo parte dell'esercito a cavallo, temevano di perdere il potere derivato dalle loro mansioni militari sulla terraferma.
Si ricorse allora all'ostracismo, ma alla fine Temistocle riuscì ad avere la meglio su Aristide. Fu una vera e propria fortuna per la città di Atene: le navi triremi furono ultimate nell'anno 481 a.C., proprio quando i persiani si preparavano a una nuova imminente spedizione.
Ancora oggi, il termine ostracismo viene usato per designare la messa al bando di una persona da un certo ambiente.

 

 

 

La Grecia classica

L'espansione dell'impero persiano 

Nel VI secolo a.C. la Grecia e le sue colonie orientali furono sfidate da una minacciosa potenza asiatica, la Persia. L'impero persiano conobbe una rapida ascesa che si realizzò in tre tappe:
il fondatore dell'impero, Ciro il Grande, occupò la Lidia, la Siria, la Fenicia, la Palestina, giungendo a invadere anche le colonie greche situate in Asia Minore (546 a.C.);
Cambise, figlio e successore di Ciro, conquistò l'Egitto (525 a.C.), arrestando i traffici greci con questa terra e provocando, di conseguenza, una grave crisi economica in tutte le città elleniche;
Dario I consolidò il potere persiano all'interno, ponendo su più solide basi l'amministrazione pubblica.
Inoltre, compì una spedizione contro gli sciti, a nord del Ponto Eusino, assoggettando la Tracia, le isole di Lemno e Imbro e imponendo un protettorato tributario al regno di Macedonia.
Durante queste imprese nella Scizia, le colonie greche dell'Asia Minore si ribellarono guidate dalla città di Mileto (501 a.C.). Atene inviò in aiuto ai rivoltosi solo venti navi, ben poca cosa rispetto alle effettive esigenze della colonia.
Gli ioni riuscirono comunque a incendiare Sardi, la capitale della satrapia della Lidia. La loro insurrezione venne presto domata dalle forze persiane: dopo una strenua resistenza durata sei anni, le colonie furono costrette alla capitolazione, e la città di Mileto fu completamente distrutta (494 a.C.).

 

Tensioni tra greci e persiani 

Questi eventi contribuirono a creare una forte tensione tra Persia e Grecia, tensione che esplose in un duro conflitto tra le due civiltà. Le cause erano molteplici: la Persia aveva sperimentato la necessità di scongiurare qualsiasi ribellione delle colonie greche in Asia Minore; inoltre, Atene, appoggiando l'insurrezione ionica, si era dimostrata una pericolosa alleata delle pòleis greche in Asia contro l'impero persiano; ancora, i persiani temevano che i greci potessero conquistare le loro rotte commerciali e i mercati principali, sottraendoli al loro controllo; infine, i re persiani erano determinati a espandere i loro domini in virtù di una convinzione ideologica: la creazione di un impero universale, capace di far rivivere lo splendore degli antichi imperi orientali e di diffondere la religione mazdeista.
Nel 492 a.C. Dario decise di avviare una nuova spedizione bellica contro i traci e i macedoni, che si erano anch'essi ribellati al dominio persiano. Il vero motivo che spingeva Dario a compiere questa azione di guerra era quello di porre le basi di un'invasione della Grecia da attuarsi di lì a poco. A guidare la spedizione era Mardonio, fiancheggiato dalla flotta. Ma, mentre l'esercito superava l'Ellesponto e penetrava in Tracia, una violenta tempesta distrusse completamente le navi persiane.
Nel corso della notte i guerrieri di una tribù trace annientavano anche le forze di terra. La spedizione persiana fu quindi un vero insuccesso.
La prima guerra persiana (490 a.C.) 
Il fallimento della spedizione del 492 a.C. non scoraggiò Dario, il quale ricostituì un esercito e allestì una nuova flotta. Nel 490 a.C. l'esercito persiano, imbarcato sulla flotta, e guidato dai generali Dati e Artaferne, occupava prima le Cicladi, e infine sbarcava sulla pianura di Maratona, a soli 40 km da Atene.
Questa allora chiese aiuto alle altre città greche e in particolare a Sparta, ma alla fine si trovò comunque a dover fronteggiare da sola il potente nemico.
Nel settembre dello stesso anno, 10 000 ateniesi e 1000 plateesi comandati da Milziade vincevano i 50 000 persiani.
I persiani però tentarono un nuovo attacco. Ma Milziade aveva mantenuto il suo esercito non lontano dalla città, riuscendo in tal modo ad arrestare la nuova incursione persiana.
Questi era stato un vassallo di Dario e aveva partecipato alla spedizione persiana in Scizia. Dopo la rivolta ionica era tornato in patria, portando con sé una profonda conoscenza delle strategie militari persiane, che gli fu indispensabile per sconfiggere i nemici.
La seconda guerra persiana (480-479 a.C.) 
Nel 486 a.C. Dario morì mentre stava riorganizzando un'azione bellica contro la Grecia. Nel 480 a.C., Serse riprendeva il progetto del padre, facendo ampi preparativi che misero subito in allarme le città della penisola ellenica. Atene e Sparta, insieme ad altre città della Grecia, strinsero un patto di alleanza, chiamato Lega panellenica, che poneva Sparta alla guida delle forze greche.
Al momento del congresso degli alleati, convocato sull'istmo di Corinto, le opinioni delle città su come condurre la difesa della Grecia contro il nemico persiano risultarono divergenti.
Sparta preferiva concentrare le forze sull'istmo, più facile da difendere perché saldamente fortificato. Atene e le città della Grecia centrale, invece, erano più preoccupate dall'eventualità di un'incursione persiana dal nord della penisola che le avrebbe minacciate direttamente. Alla fine prevalse una linea strategica intermedia: si decise di abbandonare al loro destino i territori del nord, assai difficili da difendere, e di convogliare la maggior parte delle forze, guidate da Leònida, alle Termopili, uno stretto passo sulla costa che avrebbe potuto costituire per i persiani una facile via d'accesso al centro.
Si stabilì inoltre di disporre la flotta in prossimità di capo Artemisio, dove si poteva meglio arrestare le navi persiane, e il resto dell'esercito nei pressi dell'istmo di Corinto, per creare una seconda barriera difensiva. Lo scontro tra persiani e greci fu un insuccesso per quest'ultimi e, dopo la morte di Leònida e la ritirata dell'esercito spartano dietro l'istmo di Corinto, fu Temistocle a dirigere le operazioni di difesa.

 

La strategia di Temistocle e la battaglia di Salamina 

L'avanzata dei persiani cominciò a creare delle incertezze nelle stesse città greche che avevano aderito alla Lega panellenica, e molte di loro, alla richiesta da parte delle delegazioni persiane di ricevere terra e acqua (simbolo di sottomissione), passarono dalla parte di Serse. A Delfi, i sacerdoti diedero ai greci responsi negativi su una loro possibile vittoria.
Ciò non servì a scoraggiare quanti tra i greci erano i più tenaci assertori dell'indipendenza dai persiani. Tra questi Temistocle, che convinse gli ateniesi a lasciare al più presto la città (del tutto indifendibile), e a spostarsi a Salamina, Egina e Trezene. Raccolse infine presso lo stretto di Corinto le navi pronte ad attaccare il nemico.
Al suo arrivo ad Atene Serse, trovata una città completamente vuota, la distrusse. Ma le navi ateniesi, chiuse strategicamente tra Salamina e le coste dell'Attica, riuscirono, il 20 settembre 480 a.C., a infliggere una dura sconfitta alla flotta persiana che costrinse Serse alla ritirata. Successivamente, nel 479 a.C., vi furono altre azioni belliche da parte dei persiani che portarono a una nuova distruzione di Atene. Nello stesso anno i greci riportarono una serie di vittorie sui persiani a Platea, in Beozia (per terra), e a Micale presso Mileto (per mare), che segnarono la ritirata di Serse.

 

La Lega delio-attica 

Sconfitti i persiani, l'impegno degli ateniesi fu rivolto alla ricostruzione della città, che resero più moderna e funzionale e che fortificarono con una nuova e più sicura cerchia di mura. Anche il Pireo fu fortificato e riempito di numerose navi, che costituirono la flotta più potente e agguerrita di tutto l'Egeo. Atene e le altre città greche, temendo un possibile ritorno dei persiani, decisero di formare una confederazione chiamata Lega di delo o delio-attica.
La costituzione di questa alleanza fu ideata da Aristide, un conservatore che in passato era stato oppositore di Temistocle. Il suo regolamento interno prevedeva che gli aderenti godessero di totale parità e autonomia. Ciascuna città confederata aveva l'obbligo di prendere parte alle riunioni che si tenevano nel santuario di Apollo di Delo e di sostenere o di allestire una flotta assai potente con navi e con attrezzature o con contributi in denaro. I fondi erano raccolti in un tesoro federale custodito a Delo e destinato a sostenere le spese di guerra. Il comando fu attribuito ad Atene.

 

Le alterne vicende dello scontro tra greci e persiani 

La supremazia marittima di questa città fu estesa e rafforzata sotto Cimone, figlio di Milziade ed esponente dell'area conservatrice. Egli fece in modo che lo statuto della Lega delio-attica fosse modificato per ridurre le città alleate alla condizione di tributarie e raccogliere tutta la flotta nelle mani di Atene.
Nel 466 a.C. Cimone, alla guida della grandiosa flotta di Delo, si diresse in Oriente dove i persiani avevano occupato Cipro e i fenici avevano allestito nuove navi. Alla foce dei fiume Eurimedonte in Panfilia gli ateniesi scorsero una flotta persiana e la distrussero.
Nel 449 a.C. gli egizi al comando del re Libi Inaro insorsero contro la Persia e chiesero aiuto ad Atene, la quale rispose prontamente inviando un contingente, che fu annientato dai persiani.
La situazione parve di nuovo precipitare a favore della Persia e le città elleniche cominciarono a temere il ritorno delle sue flotte nel mar Egeo.
I sami proposero allora di spostare l'intero tesoro federale da Delo ad Atene, per impedire che cadesse nelle mani dei persiani, già approdati a Cipro. Proprio in quest'isola si ebbe la vittoria dei confederati che riuscirono a eliminare la flotta e l'esercito nemico.
A questo punto la città di Atene decise di inviare a Susa, la capitale dell'impero persiano, una missione diplomatica guidata da Callia, uno dei suoi cittadini più eminenti, il quale giunse a un accordo che obbligava Atene a cessare le sue ostilità verso i persiani e la Persia a non occupare più nessuna area della confederazione per 30 anni.
La pace di Callia (449 a.C.), così fu chiamata l'intesa, sanciva in sostanza due aree di influenza: quella di Atene sull'Egeo e quella persiana in Oriente. Con questo trattato veniva definitivamente concordato l'allontanamento dei persiani dai mari della Grecia.

 

La prima guerra tra Sparta e Atene 

Nel 465 a.C. Taso, isola della Tracia, non potendo più tollerare il predominio di Atene anche sui suoi centri di commercio, abbandonò la Lega di Delo.
Assediata dalle navi ateniesi, l'isola chiese aiuto a Sparta, la quale rispose che avrebbe aggredito l'Attica se non fosse stata ritirata la flotta. Ma poco dopo un terribile terremoto colpì Sparta, consentendo agli iloti di approfittare della confusione per ribellarsi.
Gli spartiati non avevano ancora ristabilito l'ordine quando si trovarono a combattere una guerra anche contro i messeni, i quali, stanchi del dominio lacedemone sul loro territorio, erano insorti in massa. Allora Sparta chiese un sostegno ad Atene, sostegno che, grazie all'intervento di Cimone, le fu accordato. Ma nonostante la presenza di 4000 opliti ateniesi la guerra contro i messeni si protrasse a lungo senza apprezzabili risultati per Sparta. Questa addirittura cominciò a temere che il contingente alleato potesse in qualche modo intessere a suo danno trame oscure con gli insorti. Per questo decise senza mezzi termini di rimandarlo indietro, generando l'indignazione degli ateniesi.
Cimone, fautore dell'appoggio agli spartani, subì l'ostilità delle fazioni democratiche, che riuscirono a cacciarlo dalla città attraverso l'ostracismo.
Alla guida dei democratici si pose Efialte, il quale però fu presto assassinato dai suoi avversari. A capo delle correnti popolari fu acclamato un suo fedele seguace, Pericle, aristocratico per nascita, figlio di Santippo e imparentato per parte di madre con gli Alcmeonidi, ma di salde convinzioni democratiche.

 

Pericle e la tregua con gli spartani 

Per circa 30 anni, a partire dal 460 in poi, Pericle fu nominato stratego con l'incarico (quasi continuativo) di presidente del collegio. Nelle sue mani fu messo, in pratica, tutto il potere esecutivo.
Appena salito al potere Pericle si trovò a gestire il conflitto con Sparta. Questa infatti, dopo aver sedato le rivolte degli iloti e dei messeni, aveva stretto alleanza con Tebe, inviando un esercito in Beozia, ai confini con l'Attica.
Atene e Sparta si scontrarono nel 457 a.C. nella battaglia di Tanagra, che si concluse con la vittoria delle forze spartane. Ma queste, essendo troppo lontane dalla loro patria, tornarono indietro nel Peloponneso. Nel 450 a.C. venne firmata una tregua tra le due città che però non durò molto: dopo un breve periodo ripresero le ostilità e gli spostamenti di truppe, con il coinvolgimento di tutte le città della Lega delio-attica. Nel 445 a.C. Pericle riuscì, grazie alla sua abilità diplomatica, a stipulare una nuova tregua di 30 anni con gli spartani. Atene così poté vivere un periodo di pace e ricostruzione che si sarebbe concluso con lo scoppio della guerra del Peloponneso nel 431 a.C.

 

L'età di Pericle 

Nel periodo tra il 445 e il 431 a. C. Atene, grazie a Pericle, raggiunse il massimo della floridezza e della prosperità. Atene divenne in poco tempo la capitale culturale e spirituale del mondo ellenico. Le arti e le lettere conobbero in essa l'espressione più alta.
Maestosi arsenali, mercati e opere pubbliche che vengono costruiti in questo periodo ne fanno una metropoli grandiosa, sotto il profilo architettonico. Tutti i traffici commerciali e finanziari trovano in essa il centro fondamentale.
Dal punto di vista economico e politico Atene divenne la città più potente di tutta la Grecia. Merito anche della colonizzazione di alcune tra le principali aree commerciali sia nel mar Mediterraneo, come la Sicilia (attraverso la fondazione di Turi nel 444-443 a.C.), sia in Oriente, dove viene costituita la colonia di Anfipoli (nella regione dello Strimone) per accedere al controllo del distretto metallifero del Pangeo. Per rafforzare ed estendere il suo impero marittimo, Atene conquistò parte del Chersoneso in Tracia, via di comunicazione con i mercati del mar Nero.

 

Le riforme di Pericle 

Importanti e innovative furono le riforme di Pericle nell'ambito dell'amministrazione interna della città. Oltre alla già citata legge che assegnava un'indennità a coloro che svolgevano un incarico pubblico, offrendo così ai meno abbienti la possibilità concreta di accedere alle magistrature, egli stabilì che il principio del sorteggio per l'attribuzione delle cariche nella bulè fosse applicato anche all'istituto dell'arcontato.
In questo modo egli otteneva lo scopo di indebolire il potere degli arconti e dell'areopago a vantaggio degli organi più democratici come la bulè e l'ecclesia.
In politica estera, Pericle trasformò la Lega delio-attica in uno strumento di controllo politico e tributario in mano ad Atene su tutte le altre città aderenti. L'egemonia di Atene fu imposta a spese di due potenti nemici: Sparta e l'impero persiano. Pericle riuscì a sostenere, rispetto ai due avversari, il doppio gioco, alternando le forze sui due fronti e mantenendo Atene in una posizione di predominio. Un'abile tattica che i suoi successori non furono però in grado di continuare, trovandosi anche ad affrontare il malcontento e le ribellioni via via scoppiate nelle città sottomesse.

 

Le cause della ripresa della guerra contro Sparta 

La prosperità e il benessere di Atene cessarono per la grande guerra contro Sparta, chiamata per convenzione "guerra del Peloponneso".
Numerose furono le cause reali:
il contrasto ideologico tra le città (oligarchica Sparta e democratica Atene);
la crescente concorrenza commerciale di Atene ai danni di altri centri greci, specialmente Corinto;
il duro trattamento riservato da Atene nei confronti delle città aderenti alla Lega delio-attica;
la volontà imperialistica espressa dal governo di Pericle.
Le cause formali invece furono tre:
l'intromissione di Atene nel conflitto tra Corcira (Corfù) e la madrepatria Corinto (436-433 a.C.): aiutando Corcira gli ateniesi rivelavano apertamente l'intenzione di impadronirsi dei mercati dell'Occidente greco e della Magna Grecia, soppiantando Corinto;
la politica di sopraffazione che fu condotta negli anni 433-432 a.C. da Atene su Potidea (colonia corinzia nella penisola calcidica);
il bando che escludeva i megaresi da tutti i porti e mercati dell'Attica e dalle aree controllate dalla Lega di delo, voluto da Pericle nel 432 a.C.
In seguito a questi tre eventi successivi, i rappresentanti di varie città, allarmati dal comportamento di Atene, si unirono a Sparta e decisero di dichiarare guerra alla città attica.

 

Il primo periodo della guerra del Peloponneso 

Atene mise in campo ingenti forze di terra e di mare, avvalendosi dei contingenti inviati dalle isole dell'Egeo (eccetto Melo e Tera), da gran parte delle città della Calcidia e della costa della Tracia, dalla maggior parte delle colonie greche d'Asia e di quelle alleate in Occidente (Corcira, Zacinto, Naupatto, Acarnania, Reggio, Napoli, Leontini e Segesta).
Un importante vantaggio di Atene rispetto a Sparta era l'enorme disponibilità di risorse finanziarie (circa 6000 talenti con un gettito di entrate annuale). Inoltre essa poteva contare su una flotta di indiscussa superiorità, composta complessivamente da 300 triremi, le navi di Lesbo, Chio e Corcira.
A terra poteva far affidamento su un esercito di 13 000 opliti, 1000 cavalieri e 1800 arcieri mercenari (della Scizia).
Sparta poteva vantare una superiorità di forze militari terrestri.
Il suo esercito di 35 000 uomini era ben preparato tecnicamente e nettamente più forte delle fanterie ateniesi. La Beozia mise a disposizione un esercito di 7000 opliti, 10 000 soldati armati alla leggera e 1000 cavalieri. La Lega peloponnesiaca contava numerose città potenti come Megara, ed era alleata con Tebe, la Locride, la Focide, le colonie come Cnido, Siracusa e altre città doriche in Sicilia, Locri e Taranto.
Ma Sparta non possedeva una flotta consistente e non poteva rimpinguare le sue risorse con i tributi annuali delle altre città come Atene era invece tranquillamente in grado di fare.
L'unica speranza per la Lega peloponnesiaca era di poter vincere il nemico invadendo il suo territorio, danneggiandone le città e diffondendo la defezione nei centri della Lega di Delo.
Atene, invece, poteva interrompere con le sue flotte i commerci del nemico, rendere impossibili i contatti tra gli alleati avversari e infine distruggere le zone costiere del Peloponneso.

 

La peste e la pace di Nicia 

Furono proprio queste le strategie adottate dalle due città, anche se nessuna di esse emergeva vittoriosa dal conflitto, essendo in uno stato di totale parità di forze.
Nel 430 a.C. una terribile pestilenza scoppiò ad Atene causando molte vittime, tra le quali lo stesso Pericle, colui che aveva voluto e condotto la guerra contro Sparta. Nel 421 a.C., dopo una serie di operazioni belliche concluse senza risultati determinanti, Sparta e Atene firmarono una pace valida per cinquant'anni, che prese il suo nome da Nicia, esponente del partito oligarchico ateniese fautore delle trattative.
Si concludeva, in questo modo, un periodo di guerra durato un periodo di dieci anni, che aveva portato a entrambe le parti solo morte e distruzione.

 

Alcibiade e la ripresa della guerra del Peloponneso 

Il secondo periodo della guerra del Peloponneso ha inizio con la grande spedizione ateniese in Sicilia contro Siracusa, alleata di Sparta (421-404 a.C.).
Dopo la pace di Nicia nella vita politica ateniese era emersa la figura di un nuovo uomo politico del partito democratico, Alcibiade, nipote di Pericle.
Convinto che la pace conclusa con gli spartani aveva messo in realtà la città di Atene in uno stato di netta inferiorità, egli propose di realizzare una spedizione in Sicilia che avrebbe dovuto sancire il dominio della città su tutta l'isola e, da qui, su tutto l'Occidente.
La causa formale era la richiesta di aiuti da parte della città di Segesta contro Selinunte e Siracusa. Nel 415 a.C. una flotta ateniese guidata da Alcibiade, Nicia e Lamaco partì alla volta del Mediterraneo. Ma, proprio mentre si apprestava ad attuare l'operazione, Alcibiade fu raggiunto dall'ordine di rientrare in patria per essere processato con l'accusa di sacrilegio. Prevedendo una sicura condanna a morte, Alcibiade si rifugiò a Sparta, dove meditò una terribile vendetta contro Atene.
Egli infatti riuscì a convincere gli spartani a mandare un contingente in aiuto a Siracusa contro gli ateniesi, che subirono una clamorosa sconfitta per terra e per mare. Inoltre spinse gli spartani ad approfittare dello stato di debolezza di Atene occupando l'Attica e il centro di Decelea, importante per gli ateniesi in quanto posto sulla via attraverso la quale passavano i rifornimenti dall'Eubea.
Subito dopo la flotta peloponnesiaca, sotto la direzione dello stesso Alcibiade, penetrò nell'Egeo e sostenne la rivolta delle isole contro la Lega di Delo.
Nel 412 a.C. Alcibiade concluse per gli spartani un trattato con l'impero persiano, in base al quale Sparta lasciava al governo di Susa tutte le città della Ionia e la Persia, dal canto suo, si assumeva le spese di mantenimento della flotta spartana, promettendo inoltre di far intervenire le proprie navi nella guerra. Atene resistette tenacemente, ottenendo ancora qualche successo, come per esempio quello di Arginuse nel 406 a.C., ma la sua fine definitiva fu segnata nel 400 a.C. dalla battaglia degli Egospotami, nella quale la sua flotta venne completamente distrutta.

 

I Trenta tiranni e il declino di Atene 

L'anno successivo Atene fu costretta ad accettare un'umiliante resa, che la portò al totale declino economico e politico.
Al governo democratico si sostituì un regime oligarchico detto dei Trenta tiranni, imposto dalle armi spartane.
Dopo un breve periodo Trasibulo, sostenuto da un certo numero di esiliati, restituiva la città alla democrazia (404-403 a.C.), ma non alla grandezza che un tempo la caratterizzava.
Incapace di riportare agli splendori di un tempo la sua egemonia sulla Grecia, col passare del tempo Atene si chiuse sempre più nel suo passato.

 

Alessandro Magno

 

La crisi delle "poleis" greche 

Caduta Atene nel 400 a.C. a conclusione della guerra del Peloponneso, il dominio su tutte le città della Grecia passò a Sparta. Questa, a differenza della sua nemica storica Atene, non era in grado di mantenere la posizione di egemonia nella quale si era trovata dopo le sue vittorie. Il suo apparato governativo, fortemente rigido e conservatore, non poteva reggere il peso di un controllo assoluto su tutte le regioni della penisola ellenica. A rendere più difficile la situazione era la delusione di molte pòleis che, con l'annullamento della Lega delio-attica, avevano sperato di trovarsi finalmente libere e invece avevano semplicemente visto mutare il loro padrone.
In una condizione analoga erano le città greche dell'Asia Minore, costrette a subire il dispotismo dei satrapi che governavano per conto del re persiano.
Le ribellioni erano assai frequenti e si allargavano su vaste aree. Di una di queste sommosse fu protagonista il fratello minore del re Artaserse II, Ciro il Giovane, che nel 401 a.C. comandò un esercito di 10 000 mercenari greci (i "Diecimila" tra i quali lo storico Senofonte che narrò la vicenda nella sua Anàbasi) alla volta di Babilonia, per spodestare il sovrano. Ma durante la battaglia di Cunassa Ciro rimase ucciso e il suo esercito riuscì a stento a trarsi in salvo e a tornare in patria.

 

Il dominio di Sparta e il controllo persiano sulle città greche 

A condurre le forze persiane contro Ciro era stato Tissaferne, satrapo dell'Asia Minore. Egli era convinto che fosse necessario ristabilire la propria posizione di supremazia di fronte al mondo greco e così decise che le città ioniche che avevano aiutato Ciro dovevano essere di nuovo sottomesse. I suoi propositi furono però ostacolati non solo dalle stesse città ma anche da Sparta, che inviò i suoi eserciti in aiuto delle pòleis greche minacciate.
Le prime due spedizioni spartane del 399 e del 397 a.C. guidate rispettivamente da Tibrone e Dercillida, non diedero una consistente svolta alla guerra. Ma la terza, con a capo Agesilao (nel 396 a.C.), ottenne grandi risultati a favore dei greci. Mentre si apprestava ad abbattere il regno persiano, Agesilao fu richiamato con urgenza in patria per difendere Sparta dall'aggressione di Argo, Atene, Tebe e Corinto unite in una lega. La Persia, non riuscendo a fermare il cammino del nemico sul suo territorio, aveva offerto il proprio denaro alle città greche insorte per sostenere la loro guerra contro Sparta.
Nel 394 a.C. inviò una flotta comandata dall'ateniese Canone che riuscì a distruggere le navi spartane al largo della costa asiatica di Cnido.
Dopo questa dura sconfitta, Sparta fu costretta a cercare l'accordo con i persiani firmando la pace di Antalcida o pace del Re (nel 387 a.C.). Il trattato sanciva il controllo della Persia sulle città elleniche, che furono obbligate a sciogliere le loro alleanze e a restare autonome. Sparta avrebbe tenuto sotto osservazione il quadro politico greco al servizio del Gran Re persiano e le colonie greche d'Asia sarebbero tornate ai satrapi per conto della Persia.

 

L'insofferenza dei greci e il predominio di Tebe 

La pace non fu accettata di buon grado da alcune pòleis, soprattutto da Tebe, che vedeva con essa vanificati i suoi sforzi di indipendenza. In poco tempo Tebe riuscì a conquistare la fiducia delle altre pòleis sottomesse e a farsi paladina dei loro interessi contro Sparta.
Nacque allora la Lega beotica, che riuniva tutte le città della Beozia contro il predominio spartano. Ma nel frattempo anche Atene si era organizzata. Con le città dell'area egea essa aveva stretto una serie di alleanze in funzione antispartana, che diedero origine alla seconda Lega marittima. Dopo avere battuto più volte le navi di Sparta, ripristinando il proprio dominio sui mari, Atene capì che la potenza tebana era più pericolosa di quella spartana e decise di conseguenza di attuare una strategia difensiva nei suoi confronti.
Nel 371 a.C. alcuni rappresentanti ateniesi della Lega marittima e i responsabili spartani della Lega peloponnesiaca si incontrarono e dichiararono di riconoscere la legittimità di
tali alleanze, ma allo stesso tempo intimarono lo scioglimento della Lega beotica.

 

Pelopida ed Epaminonda e la fine dell'egemonia tebana 

Ovviamente Tebe si oppose a questa ingiunzione: i suoi eserciti, guidati dai generali Pelopida ed Epaminonda, si scagliarono contro gli opliti spartani penetrati in Beozia riportando una clamorosa vittoria a Leuttra (371 a.C.).
La superiorità in campo dei tebani fu dovuta alla speciale tecnica di combattimento da essi adottata, basata sullo schieramento della falange a ordine obliquo. Grazie a questo stratagemma, i tebani si affermarono ovunque, spingendo le città dell'Argolide, dell'Elide e della Messenia a ribellarsi contro Sparta e facendo in modo che la Lega peloponnesiaca si dissolvesse. Ma l'egemonia tebana era destinata a una rapida conclusione: nel 364 a.C., durante una campagna antimacedone in favore dei tessali, era morto Pelopida e più tardi, nel 362 a.C., anche Epaminonda aveva perso la vita nella battaglia di Mantinea.
A Tebe vennero a mancare così due condottieri di indiscusso valore, sui quali poggiavano tutte le sue forze politiche e militari. Nel 361 a.C. tebani e spartani conclusero un accordo di pace, con il quale si stabiliva la restituzione di tutti i territori a Sparta e si dava riconoscimento alla confederazione dell'Arcadia e alla città di Messene (costituita nel 370  a.C. con l'aiuto dei tebani per rompere l'unità del Peloponneso).
La breve egemonia di Tebe aveva messo in luce la profonda debolezza di grandi città elleniche come Sparta, spianando la strada alla nuova potenza macedone.

 

La Macedonia e il sogno espansionistico di Filippo II 

La Macedonia, regione situata a nord della Grecia, era una terra di agricoltori e di aristocratici, governata da una monarchia. Le popolazioni di questa regione parlavano un dialetto del greco che gli ateniesi consideravano "barbaro". Nel 359 a.C. divenne re di questo stato Filippo II, uno dei condottieri e dei politici più validi e astuti del tempo.
Da ragazzo era stato per tre anni a Tebe come ostaggio e aveva avuto modo di osservare da vicino l'invincibile macchina bellica tebana. Questa esperienza gli servì per poter formare il più potente esercito dell'epoca antica prima della comparsa dei romani: la falange macedone. Inoltre la permanenza in Grecia gli aveva fatto comprendere quanta ostilità vi fosse tra le varie città elleniche: era stata questa la causa primaria della loro decadenza.
Perciò si volse a riordinare e a rafforzare il suo regno al fine di creare una solida stabilità interna. Quando si accorse che le condizioni del suo potere glielo permettevano, diede inizio a un'inarrestabile campagna militare. Per prima cosa occupò le colonie greche che gli chiudevano la via al mare e in seguito si intromise nelle dispute interne alla Grecia, alimentando la divisione e l'odio tra le diverse città senza lasciar trapelare i suoi reali disegni di conquista.

 

Demostene e la sconfitta della Grecia 

Filippo II, fine oratore e astuto diplomatico, riuscì a imporre il proprio dominio sulla Tessaglia e, nel 346 a.C. (dopo la sconfitta dei focesi), a far parte della Lega anfizionica di Delfi, uno dei più importanti organismi politici della Grecia. Contro di lui nelle varie città cominciarono a levarsi le voci di autorevoli oppositori, come per esempio quella dell'ateniese Demostene, che con orazioni impetuose e piene di sdegno incitava i suoi connazionali a non cedere allo straniero e a lasciare da parte le ostilità in nome di una difesa comune.
Scoppiata la guerra tra Grecia e Macedonia, Filippo sconfisse le pòleis elleniche a Cheronea, in Beozia, nel 338 a.C., affermandovi la sua egemonia. Conquistata l'ambita supremazia e sbarazzatosi di tutti i suoi nemici, nel 337 a.C. riunì a Corinto un congresso nel quale ottenne dai rappresentanti delle città greche il consenso per una grande spedizione contro la Persia.
Ma durante l'anno successivo fu assassinato da un ufficiale facente parte della sua guardia del corpo, a causa di intrighi dinastici rimasti oscuri.

 

Alessandro Magno 

Nel 336 a.C. successe a Filippo II il figlio appena ventenne, Alessandro. Questi raccolse in pieno l'eredità del padre, seguendone le orme in tutto. Uomo di straordinaria genialità, di eccezionale audacia e di grande personalità, si rese subito conto della necessità di mettere innanzitutto ordine nel suo regno, nel quale, dopo la morte di Filippo, erano scoppiate violente rivolte.
Ridusse all'obbedienza i vari popoli insorti del nord della Macedonia; poi costrinse con la forza le città della Grecia a sottomettersi al suo governo, giungendo a compiere atti estremi, quale la distruzione di Tebe, per raggiungere in modo sbrigativo ed efficace il suo scopo. Infine riunì a Corinto l'assemblea degli stati ellenici e si fece nominare comandante della spedizione contro i persiani voluta da suo padre.
Nella primavera del 334 a.C. Alessandro mosse verso l'Asia, dopo aver compiuto sacrifici propiziatori e cerimonie religiose nei pressi di Troia in modo da rivendicare la sua discendenza da Achille e rendere palese lo scopo panellenico della spedizione.
Il suo sogno era infatti quello di riportare la Grecia agli splendori dell'età degli eroi, imponendo la sua egemonia su tutti i territori persiani.
La prima vittoria greco-macedone contro l'esercito del re persiano Dario III fu quella del fiume Granico, nel 334 a.C., grazie alla quale Alessandro poteva occupare la parte occidentale dell'Asia Minore. Con la battaglia di Isso, in Cilicia, Alessandro mise in seria difficoltà il Gran Re, facendo prigioniera la sua famiglia. Dario III fu allora costretto a fuggire verso l'interno del suo impero. La falange greco-macedone divenne inarrestabile: conquistò di seguito la Siria, la Fenicia e infine, dopo l'assedio di Tiro, anche l'Egitto, importante base navale e di rifornimento persiana.

 

L'impero di Alessandro 

In Egitto Alessandro mostra grande generosità e benevolenza nei confronti delle popolazioni del luogo, accogliendone le tradizioni e la religione. Si fa addirittura proclamare "figlio di Zeus Ammone" presentandosi come il vero fautore della continuità religiosa egizia. Per lasciare un segno tangibile della sua presenza in Egitto fece costruire una città alla foce del Nilo, di nome Alessandria (332 a.C.), destinata a diventare uno dei centri culturali e commerciali più importanti del Mediterraneo.
Nel 331 a.C. riprese la guerra contro Dario, riportando una vittoria decisiva a Gaugamela, presso Arbela sul Tigri. Occupò quindi le grandi città, centro del potere della monarchia persiana: Babilonia, Susa, Persepoli, Ecbatana.
Costruì strade e fondò numerose città nei luoghi strategicamente più importanti, colmandole di coloni greci e macedoni e costituendo attivi centri di commercio. Assunse gli usi e lo sfarzo propri dei sovrani persiani; sposò Rossane, figlia di un principe della Battriana. Nel 327 a.C. diede il via a una nuova spedizione diretta in India che durò fino all'anno seguente.
Si arrestò però alle foci dell'Indo, a causa della ribellione scoppiata tra i suoi stessi soldati, stanchi di combattere senza sosta e in regioni impervie. Tornato a Susa nel 325 a.C. si apprestò a portare avanti la sua opera di riorganizzazione dello stato. Ma mentre stava preparando nuovi progetti di spedizioni verso l'Arabia e l'Occidente fu colto improvvisamente dalla morte, a soli 33 anni, nel 323 a.C.

 

Il sogno di Alessandro: l'unione di vinti e vincitori 

Il fine principale dell'opera di Alessandro era stato quello di creare una solida coesistenza di vinti e vincitori. Per questa ragione mantenne al loro posto i governatori persiani, sostituendo solo quelli delle province più irrequiete con uomini macedoni di sua fiducia. Spinse i suoi soldati e ufficiali a sposare donne persiane. Egli stesso sposò un'altra donna, Statira, figlia di Dario, abbracciando la poligamia persiana.
Inoltre ordinò di organizzare un'ampia leva militare, che comprendeva anche la gioventù persiana, per dar vita a un esercito misto, con presenze persiane, macedoni e greche insieme.
Infine assunse il titolo di re di Persia, favorì i commerci e le industrie dei luoghi conquistati, e infine spostò la sua sede nella città di Babilonia.
Tutto questo suscitò l'ira del popolo macedone che si vide messo alla pari dei vinti sotto il potere di un re di costume orientale. Fu questa una delle numerose cause che diedero luogo al completo disfacimento del grande impero di Alessandro Magno.

 

L'età ellenistica

L'ellenismo 

Con la morte di Alessandro si aprì per la Grecia e per l'Oriente una nuova epoca, quella ellenistica. In questo periodo le due civiltà, quella greca e quella orientale, unificate sotto Alessandro, persero gli elementi di divisione e conflittualità che avevano caratterizzato la loro storia precedente, senza tuttavia smarrire la propria identità culturale.
Il termine "ellenismo", sconosciuto agli antichi, è stato coniato dallo studioso moderno Johan Gustav Droysen, che lo utilizzò per la prima volta nella sua Storia dell'ellenismo (1836-1843) per indicare il momento storico successivo all'età classica. Egli riteneva infatti che gli "ellenisti" fossero quegli orientali che parlavano un greco imbevuto di ebraismi. In realtà Droysen aveva interpretato in modo errato un passo degli Atti degli Apostoli (VI, 1) nel quale si distinguono gli ebrei dagli ellenisti.
Gli storici d'epoca contemporanea hanno invece rilevato che gli "ellenisti", ai quali allude il Nuovo Testamento, erano semplicemente coloro che usavano la lingua greca come loro idioma.

 

La spartizione dell'impero dopo Alessandro Magno 

La morte di Alessandro aveva lasciato l'impero senza un successore effettivamente in grado di raccoglierne l'eredità. La reggenza passò formalmente a un fratellastro di Alessandro, Filippo III, che era però demente. Quindi, a lui fu affiancato l'infante Alessandro IV, figlio di Alessandro e Rossane, venuto alla luce dopo la morte del padre. L'effettivo vuoto di potere scatenò la guerra tra i generali del defunto imperatore, i cosiddetti diàdochi (i "successori" di Alessandro, ai quali seguirono gli epìgoni, ovvero "i nati dopo", i nuovi generali), i quali mirarono ad assicurarsi il governo delle satrapie più ricche.
La violenta lotta scatenata dai generali si protrasse per ben 40 anni ed ebbe come unico effetto la completa frantumazione dell'impero: assassinati infatti sia Filippo III sia Alessandro IV, i diàdochi più potenti assunsero ufficialmente il potere nelle regioni in cui avevano dominato.
Nel 301 a.C. a Ipso, in Asia Minore, cadde Antigono, il quale aveva cercato, in un ultimo disperato tentativo, di raccogliere tutto l'impero sotto il suo governo. A sconfiggere Antigono  furono Tolomeo, che aveva instaurato il suo potere in Egitto, e Seleuco, che si era impadronito della Siria e di molte regioni asiatiche. Più tardi lo stesso nipote di Antigono, Antigono Gonata, costituiva il regno di Macedonia.
Si formarono così tre diverse monarchie, destinate a sopravvivere fino alla conquista romana (e alla conclusione dell'età ellenistica) sancita dalla battaglia di Azio del 31 a.C.

 

I regni ellenistici 

In Egitto Tolomeo diede origine alla dinastia dei Tolomei, i quali tennero il potere nel rispetto della religione, dei costumi e degli usi della società egizia. Sotto il loro regno Alessandria divenne capitale del paese e centro dei più importanti commerci e traffici internazionali del mondo ellenistico. Essa richiamò grandi pensatori greci e conquistò il primo posto nel campo della scienza, dell'arte e della letteratura.
Il regno di Siria fondato da Seleuco I e retto per due secoli dalla sua dinastia, i Seleucidi, fu il più grande tra quelli risultati dalla divisione dell'impero di Alessandro. Esso infatti andava dall'Asia Minore alla Mesopotamia e alle aree orientali fino all'Indo. La sua capitale fu prima Seleucia, poi Antiochia.
Dalla monarchia seleucida si staccarono in un secondo momento Pergamo, la Bitinia, la Galazia, l'Armenia, la Partia e Rodi. Quest'ultima costituì una lega di città marittime greco-asiatiche e di isole, raggiungendo in un breve periodo una notevole prosperità commerciale.
Il regno di Macedonia retto dagli Antigònidi fu teatro di conflitti con i greci, che non si rassegnarono mai all'egemonia dei macedoni. Capitale della monarchia divenne Pella.
L'avvento dei nuovi regni ellenistici non significò automaticamente per il mondo greco e orientale l'inizio di un periodo di pace. Ciascuna monarchia guerreggiò con le altre per ottenere il controllo dei traffici marittimi o per contendere territori confinanti. Queste guerre ebbero come unico effetto il progressivo disfacimento e indebolimento di tali regni, da cui seppe trarre vantaggio Roma, nuova potenza emergente.

 

Le caratteristiche della civiltà ellenistica 

Il fenomeno tipico dell'età ellenistica è la scomparsa delle pòleis e l'affermarsi dello stato territoriale. L'effetto più importante della caduta della pòlis è lo sviluppo della cultura greca oltre i confini della città-stato, verso l'Africa e l'Asia. Ma non bisogna credere che la pòlis scompaia come centro urbano: essa semplicemente perde la centralità che aveva avuto nel passato storico della civiltà greca. Rimangono tuttavia città ancora fortemente indipendenti (quali Atene, Rodi, Corinto), città unite in lega (la Lega etolica e la Lega achea), città dipendenti dai nuovi stati ellenistici, ma nondimeno dotate di una pur ristretta autonomia locale.
L'organizzazione dello stato si basa su nuove strutture: il re, i suoi consiglieri, i funzionari e gli amministratori locali e i quadri dell'esercito. La classe sociale più ricca, dopo il sovrano, è quella dei commercianti e degli imprenditori. Aumenta però il numero degli schiavi e dei servi della gleba. Le ribellioni contro il potere monarchico sono frequenti ma vengono presto sedate. Solo l'insurrezione degli ebrei nel II secolo a.C., guidata dalla famiglia dei Maccabei contro i Seleucidi (Antioco IV), ottiene successo: gli ebrei si rendono autonomi e fondano lo stato della Giudea, che resisterà fino all'occupazione romana.

 

L'espansione economica nell'età ellenistica 

Dal punto di vista economico si registra una grande espansione che caratterizza tutte le regioni a esclusione della Grecia, ormai in profonda crisi. L'agricoltura nei paesi orientali vive un periodo di floridezza e nel campo dell'industria si assiste a un aumento della produzione, determinato da una migliore organizzazione della politica economica dello stato, dalla crescente ricchezza e dalla vigorosa iniziativa privata.
A questi fattori va aggiunta una più salda economia monetaria favorita dalla rapida circolazione della valuta. I traffici commerciali del Mediterraneo si moltiplicano grazie alla presenza sui mercati di una nuova potenza: Roma. Le relazioni commerciali si allargano verso la Mesopotamia, la Persia, l'Arabia e l'India, attraverso il mar Rosso, il golfo Persico e l'oceano Indiano.
Ai culti misterici si affiancano quelli di divinità egizie e asiatiche. Scienza e filosofia vivono un periodo di grande sviluppo, come l'arte e la letteratura: ultimi bagliori di una civiltà in declino.

 

Maya e aztechi

 

Il periodo formativo delle civiltà mesoamericane 

La maggior parte degli storici concorda ormai nel definire mesoamericane le culture precolombiane sorte nella zona dell'America centrale.
La storia della Mesoamerica viene divisa in vari periodi: formativo (dal 2000 a.C. al I secolo d.C.), classico (dal II al IX secolo d.C.) e postclassico (dal IX secolo d.C. alla conquista spagnola).
Intorno al 7000 a.C. le prime popolazioni mesoamericane erano costituite da predatori che solo più tardi impararono a raccogliere e a coltivare i vegetali. Essi appresero le tecniche dell'agricoltura solo tra il 3000 e il 2000 a.C. Le piante coltivate in principio furono l'amaranto, il pomodoro e un tipo di cereale simile al mais. In seguito si domesticarono altre piante selvatiche quali i fagioli, il cotone, la zucca e il peperone.
Intrapresa l'attività agricola, i primi mesoamericani costruirono villaggi, dove si dedicarono anche alla lavorazione della ceramica e alla tessitura del cotone. È proprio in questa epoca che si colloca l'inizio del periodo formativo.

 

Le testimonianze archeologiche 

Le testimonianze più antiche vengono dagli scavi compiuti presso l'istmo di Tehuantepec, una fertile pianura dal clima mite, che per la sua favorevole posizione sul mare consentiva di praticare oltre all'agricoltura anche la pesca.
Dal punto di vista artistico emerge sempre in questo periodo lo stile di Ocos, rappresentato da vasi di argilla rossa, dalla forma sottile e privi di collo, chiamati col nome di tecomates, da statuette e da utensili di vario genere che presentano incisioni a onde. Esemplari dello stesso stile sono stati rinvenuti a Chiapa de Corzo, nel Chiapas.
Per avere un'idea delle abitazioni del tempo basta rifarsi ai siti di Zacatenco ed El Arborillo (lago di Texcoco): le case erano di paglia, avevano le pareti intonacate e il tetto sorretto da pali.
Al loro interno sono state ritrovate delle lance a punta di ossidiana e delle statuette raffiguranti corpi femminili. Una piramide di 27 m costruita dai Cuicuilco testimonia l'esistenza di un culto religioso, forse dedicato al dio del fuoco.

 

Gli olmechi 

In una zona pianeggiante ricca di paludi situata tra Veracruz e Tabasco sorse la civiltà degli olmechi, che si protrasse dal 1150 a.C. al 400 a.C.
Gli olmechi non conoscevano i metalli ma erano particolarmente progrediti nell'uso della pietra e della ceramica. Diedero vita a forme artistiche dallo stile chiaro e dai tratti inconfondibili: statuette di figure umane e di animali dall'aspetto pingue, colte sempre in atteggiamenti realistici; sculture in pietra raffiguranti corpi o teste senza collo, che per la loro imponenza testimoniano un vivo sentimento religioso.
Gli olmechi conoscevano la tecnica del bassorilievo su pietra e su oggetti di giada: tra i bassorilievi più significativi prodotti vi sono quelli che rappresentano divinità librate nell'aria e giovani che giocano a pallone.
In assenza di fonti scritte, si può pensare che la società olmeca fosse organizzata in caste e avesse una struttura teocratica. Le imponenti opere sino a noi pervenute furono probabilmente costruite facendo ricorso a molta manodopera servile. Vi era quasi sicuramente una classe di guerrieri alla quale si affiancava una classe di sacerdoti-signori.
Gli olmechi giunsero a elaborare il primo sistema di scrittura e di numerazione della cultura mesoamericana e idearono anche un calendario. I risultati della loro civiltà si trasmisero attraverso la conquista a gran parte delle popolazioni dell'America centrale.

 

Gli zapotechi 

Gli zapotechi erano una popolazione della valle di Oaxaca, il cui centro era situato sul monte Albán. Ancora oggi in questa valle una minoranza parla la loro lingua. Sulla base di fonti archeologiche e di testimonianze posteriori, si è potuta ricostruire la loro vita quotidiana e i loro culti. Questi ultimi erano rivolti soprattutto a una coppia generatrice e al dio della pioggia.
Questo popolo usava come moneta per il commercio spade di rame, possedeva un calendario, corrispondente all'anno solare distinto in quattro stagioni di 65 giorni l'una e, inoltre, aveva ideato un agile sistema di computazione e di trascrizione dei numeri che veniva basato sull'impiego di punti e di lineette.
Nel centro di Monte Albán sorge una costruzione con colonne rotonde monolitiche e bassorilievi in pietra che raffigurano corpi maschili nudi, detti danzantes, di carattere religioso.
Un'altra interessante peculiarità di questa cultura sono le tombe a forma di "T" e di croce, con le pareti dipinte da stucchi variopinti. Il corredo funebre era costituito da incensieri a forma umana rivisitata con fantasia.
Gli zapotechi erano un popolo di guerrieri che, a seguito di ripetute spedizioni militari, ampliarono gradualmente i confini del loro territorio. La loro potenza durò senza contraccolpi fino all'arrivo dei conquistadores spagnoli.

 

Il periodo classico: la cultura di Teotihuacán 

Il periodo classico è caratterizzato dalla formazione di consistenti comunità di villaggio, dovuta allo sviluppo dell'agricoltura e alla crescita della popolazione. In questa epoca si afferma la cultura di Teotihuacán, il cui nome deriva da un antico centro, a nord dell'attuale Città del Messico, così chiamato in lingua azteca. Teotihuacán era certamente la località più nota e più estesa di tutta la Mesoamerica.
La sua struttura rivela un progetto urbanistico ben definito: una lunga Via Sacra culmina da un lato con la piramide del Sole e dall'altro con quella della Luna, due edifici alti circa 40 metri.
Accanto a queste costruzioni si erge la Cittadella, un grandioso basamento sul quale poggiano altre quindici piramidi più piccole. All'interno di un cortile si trova il tempio di Quetzalcoatl, con le pareti decorate da affreschi.
Durante gli scavi sono state rinvenute, alla periferia della città, abitazioni private di modeste dimensioni, collegate le une alle altre da una serie di viottoli. Probabilmente in queste case vivevano i commercianti e gli artigiani.
Nelle botteghe artigiane sono state ritrovate ceramiche e pezzi di ossidiana, le merci più esportate da questa popolazione. Quella di Teotihuacán, come dimostrano i resti architettonici, era una civiltà evoluta distinta in classi: contadini, artigiani, scribi, guerrieri e sacerdoti (i veri signori della città). Era quindi una società di tipo teocratico, fortemente caratterizzata dalla religione.
La vasta influenza da essi esercitata sulle culture limitrofe va attribuita alla loro potenza economica più che ad azioni di guerra: erano infatti i principali esportatori di ossidiana, un tipo di roccia vulcanica, che costituiva la materia prima indispensabile per effettuare le operazioni di taglio.
Inoltre potevano contare su ingenti quantità di derrate alimentari grazie alle innovazioni tecniche apportate nella coltivazione della terra, quali il sistema delle chinampas (consistente nella suddivisione del terreno paludoso in appezzamenti di forma rettangolare).
Il tramonto di questa civiltà avvenne probabilmente nel VII secolo d.C., per cause non ancora determinate.

 

I totonachi 

Alla fine del periodo classico nacque un'altra importante cultura, quella dei totonachi. Abitanti della regione di Veracruz, questi antichi mesoamericani furono i primi a venire a contatto con Cortés. Il loro centro principale era il complesso di El Tajín, ove sorgevano piramidi a nicchia, costruzioni dalla forma piatta e sede del governo della città, e curiosi luoghi recintati o sferisteri, in cui si praticava il gioco della palla.

 

I maya 

Le origini della raffinata cultura maya sono antichissime e vanno ricercate in una fase storica arcaica, prima dello stesso periodo formativo. I primi gruppi maya si sarebbero insediati in Guatemala e nel Chiapas intorno al 2500 a.C. Si sa che già in questa epoca essi coltivavano il mais e lavoravano la ceramica.
Nel periodo formativo la popolazione crebbe notevolmente e furono costituiti i primi villaggi, Ocos e Cuadros (1500-800 a.C.). Si cominciò a coltivare anche il cotone, mentre lungo la costa si praticava la raccolta dei molluschi e più all'interno, nelle località boschive, si cacciavano gli animali selvatici. A Las Charcas in Guatemala sono stati rinvenuti vasi di ceramica variopinta, decorati con immagini di maschere e di scimmie, espressione religiosa di una cultura in evoluzione.

 

L'apogeo della civiltà maya 

Nel periodo compreso tra il 300 a.C. e il 300 d.C. la civiltà maya giunse a una piena maturazione. Infatti in questo periodo, che preannuncia gli splendori dell'epoca classica, i maya elaborarono un sistema di scrittura e di computazione che utilizzava anche lo zero. Inoltre organizzarono un calendario e costruirono osservatori astronomici.

Le loro città furono strutturate in modo più funzionale e vennero create ampie piazze attorno alle quali sorgevano i vari edifici, resi più solidi grazie all'impiego della calce nella fase di muratura. L'incremento del commercio contribuì di certo allo sviluppo della civiltà.
In centri come per esempio Kaminaljuyu, nel Guatemala, si verificò un'espansione dei traffici di ceramica tale da determinare una repentina ricchezza. Ne sono magnifici testimoni i numerosi templi ed edifici pubblici della città, che con le loro ceramiche arancioni e rosse su giallo e bianco, le loro sculture e i loro bassorilievi, ostentano una raffinatezza artistica e un culto per la bellezza estetica del tutto nuovi.
Anche a nord, nella zona del Petén, vi sono tracce di benessere diffuso. L'esistenza di fiorenti centri come Tikal e Uaxactum, con le loro grandi piramidi e i loro splendidi affreschi, non sarebbe stata possibile senza l'ottenimento di una certa stabilità economica.

 

Le raffinate tecniche agricole 

In queste terre straordinariamente fertili era l'agricoltura il fattore economico trainante. I maya conoscevano preziose tecniche di coltivazione che consentivano una ricca produzione di mais, alternata da colture di patate dolci e manioca.
Tra le tecniche agricole più efficaci vi erano la creazione di terrazzamenti sui fianchi delle montagne, l'irrigazione attraverso una rete strutturata di canali, la rotazione delle colture e la concimazione animale del terreno.

 

I centri più importanti: Tikal e Palenque 

Va notato che alcune città maya vivevano sotto il controllo della civiltà teotihuacan. In particolare Kaminnljuyu costituiva per i teotihuacan un centro di collegamento commerciale con il Messico centrale. Si rilevano infatti elementi teotihuacan nello stile architettonico e artistico della città soprattutto a partire dal 330 d.C. fino al 600 d.C.
Diversa doveva essere la posizione di Tikal rispetto alla potenza teotihuacan: pur essendo legata a questa da intensi rapporti commerciali, Tikal ne era del tutto indipendente, tanto che, crollata Teotihuacan, essa divenne il centro più importante dell'area orientale. La sua popolazione nel periodo classico crebbe a dismisura, ospitando quasi 25 000 abitanti nel cuore della città.
L'esplosione demografica determinò come conseguenza un'espansione urbanistica senza precedenti, tanto che tra piramidi e abitazioni pubbliche e private poteva contare circa 3000 edifici. I palazzi si fecero più imponenti, le loro pareti furono coperte di intonaco e, in alcuni punti, furono sorrette da volte. Per contenere le riserve di acqua potabile si costruirono grossi serbatoi, indispensabili nei periodi di siccità.
Un altro centro importante fu Palenque, in cui sovrastava l'abitato una torre a tre piani di singolare bellezza, sede anche di un osservatorio.
Questo popolo creò la falsa cupola, tecnica che richiama quella dei micenei nelle rocche di Micene e Tirinto. Interessanti sono i rilievi del palazzo della torre, che raffigurano prigionieri di guerra in atto di prostrazione. Inoltre non si può dimenticare l'atmosfera magica del Tempio delle Iscrizioni, nel quale gli scavi hanno portato alla luce centinaia di geroglifici e un sarcofago all'interno di una cripta riccamente affrescata.
Yaxchilan era un fiorente centro situato, come Palenque, sul fiume Usumacinta (nel Petén). Le sue piramidi sono di grande interesse storico poiché le incisioni delle architravi rappresentano momenti di conquista e di rituale religioso. Altrettanto significativi sono gli affreschi di Bonampak, che raffigurano sacerdoti con fiaccole in mano e guerrieri uccisi in scene di battaglia.

 

La società maya 

Da questi elementi si possono dedurre i caratteri principali e la struttura della società maya. La classe dirigente era costituita da un'aristocrazia che per via ereditaria si trasmetteva la gestione del potere sia politico sia economico. A essa spettava costruire i templi e le altre opere pubbliche, provvedendo anche al loro mantenimento; curare la vita religiosa della città, organizzando le cerimonie che si dovevano svolgere; infine occuparsi della formazione degli adolescenti della propria classe.
Gli aristocratici erano affiancati da una classe di guerrieri preposta alla difesa e al controllo della città. Al vertice della gerarchia stavano i sacerdoti, che avevano il compito di presiedere ai culti religiosi e di sviluppare attraverso lo studio le conoscenze in campo astronomico e matematico. Il loro potere era ereditario e godeva di grande prestigio.
Il resto della popolazione era costituito prevalentemente da commercianti, artigiani e contadini. Questi ultimi vivevano nelle periferie della città o in vicine zone di campagna, e si recavano in centro solo per distribuire i loro prodotti.

 

Il collasso della civiltà maya 

Nel 900 d.C. la cultura dei maya subì un vero e proprio collasso. Esso fu determinato dall'estrema competitività che si era creata tra una città e l'altra, dal calo della produzione agricola a causa dell'eccessivo sfruttamento della terra e dal prevalere di un'altra popolazione, quella dei nahua, nei traffici della zona centrale. Tutti questi fattori concomitanti incisero profondamente sul sistema politico maya, conducendolo irrimediabilmente al tramonto.

 

Il periodo postclassico: la cultura maya-tolteca nello Yucatan 

Nel periodo postclassico si ha una rinascita della civiltà maya nello Yucatan, caratterizzata dalla presenza di elementi provenienti da una nuova potenza mesoamericana, quella dei toltechi.
Nella zona a nord della valle del Messico i toltechi avevano fondato una città assai florida chiamata in un primo tempo Tollan e in seguito Tula. A partire dal 900 d.C. Tula si impose militarmente su tutte le città del golfo del Messico e su quelle situate sulla costa del Pacifico, nei territori del Guatemala e del Chiapas.
Secondo la leggenda, nel 387 d.C. un condottiero tolteco di nome Kukulcan conquistò i centri maya dello Yucatan, gli abitanti dei quali si rifugiarono nella nuova capitale Chichen Itzá. La città era stata fatta costruire dallo stesso Kukulcan sul modello di Tula.

 

L'influenza dei toltechi nella società e nei riti religiosi 

Restando a stretto contatto con i toltechi, i maya assorbirono in modo naturale gli aspetti più significativi della loro vita comune. Si diedero alla caccia e alla pastorizia; commerciarono metalli, pietre dure e schiavi; utilizzarono una moneta fatta di semi di cacao o di conchiglie o piume di quetzal.
Accettarono persino le credenze religiose dei toltechi, credendo che la Terra fosse al centro di due piramidi con vertici opposti, costruite a forma di terrazze. Il loro complesso pantheon comprendeva numerose divinità per le varie attività quotidiane. Il culto si basava sul sacrificio di vittime umane, alle quali veniva strappato il cuore.
Davvero crudeli erano poi i riti compiuti in occasione della morte di un sovrano: la sua salma veniva infatti seppellita con tutti i suoi schiavi, in segno di devozione e di offerta funebre.
L'influenza tolteca sui maya si fece sentire anche in campo artistico. A Chichen Itzá si trovano molti palazzi di forme diverse, come quello delle Mille colonne, o il Tempio dei Guerrieri, con il suo imponente ingresso sorvegliato da due animali fantastici in pietra (X-XI secolo d.C.).
L'assetto sociale e politico delle città maya-tolteche mutò radicalmente rispetto al passato. Infatti il potere passò dai sacerdoti ai guerrieri.
Si costruirono città fortificate, con opere realizzate in muratura anziché in pietra. È questo il caso della città di Mayapán, nella quale risulta evidente il passaggio da una cultura prevalentemente teocratica a una cultura più laica.

 

La fine del secondo impero maya 

In seguito all'imposizione del suo potere militare su tutta la penisola, Mayapán fu teatro di una violenta guerra civile tra il 1441 e il 1461, conflitto che obbligò gli abitanti a fuggire.
Cinquanta anni dopo gli spagnoli invasero il territorio con due spedizioni guidate da Pedro de Alvarado (a sud, nel 1523) e da Francisco de Montejo (a nord, nel 1528): ebbe così fine il secondo impero dei maya.

 

Il calendario dei maya

 

La civiltà dei maya raggiunse dei risultati eccellenti in campo astronomico e matematico. Frutto dei loro studi, in questi ambiti, fu l'elaborazione di un calendario che rappresenta uno dei più precisi sistemi di datazione dell'antichità.
Questi furono risultati eccezionali considerando che i mezzi di cui disponevano per il calcolo erano alquanto primitivi: i numeri infatti venivano segnati con un sistema di punti e linee (il punto valeva 1 e la linea 5) e la loro diversa combinazione indicava la cifra.
A queste rudimentali nozioni matematiche associarono una puntigliosa osservazione del moto dei corpi celesti e della successione delle lunazioni, grazie alle quali poterono fissare una cronologia assoluta a partire dall'anno 3113 a.C. I maya distinguevano un anno rituale da un anno solare: il primo era di 260 giorni, distribuiti in 13 mesi di 20 giorni ciascuno; il secondo era di 360 giorni, suddivisi in 18 mesi di 20 giorni ciascuno e prevedeva 5 giorni aggiuntivi.
È interessante notare che i maya si servivano di entrambi i calendari contemporaneamente e che la coincidenza tra i due sistemi si verificava ogni 52 anni. Essi inoltre erano soliti raggruppare i giorni in unità crescenti così definite: Uinal = 20 giorni; Tun = 18 Uinal (360 giorni); Katun = 20 Tun (7200 giorni); Baktun = 20 Katun (144 000 giorni); Pictun = 20 Baktun (2 880 000 giorni); Kalabactun = 20 Pictun (57 600 000 giorni). Ogni venti anni veniva eretta una stele con il nome di quel ciclo di tempo: Katum, Baktun, Pictum e via dicendo.

 

La religione dei maya

 

Ogni mese era identificato con una divinità; questo dimostra che tra il sistema di datazione e la religione maya vi era uno strettissimo legame. Purtroppo le iscrizioni dei templi non sono state perfettamente decifrate, impedendo così agli studiosi di avere delle informazioni più esaurienti in materia.
I maya veneravano divinità naturali, quale Chac, dio della pioggia. La loro divinità principale era Itzamna, alla quale riconoscevano immensi poteri. Ogni divinità era rappresentata da un colore e si credeva fosse dotata di quattro anime, identificate con i quattro punti cardinali.

 

Gli aztechi 

Gli aztechi erano una popolazione di cacciatori e di raccoglitori. Le loro origini risalivano alla città di Aztlan, situata nel Messico centrale. Il loro arrivo nella valle del Messico creò grande scompiglio tra gli abitanti di quelle terre, che si trovarono a dovere subire i loro saccheggi.
Malvoluti dalla maggior parte degli abitanti delle città, gli aztechi dovettero cambiare continuamente patria, divenendo mercenari al servizio ora di questo ora di quel sovrano, fino a quando riuscirono a occupare alcuni degli isolotti del lago di Texcoco, fondando nel 1345, la città di Tenochtitlan. Sfidando le condizioni sfavorevoli di un ambiente malsano e paludoso, essi fecero di Tenochtitlan una delle città più belle dell'intera regione.
Molto si deve al loro ingegno: per poter coltivare il terreno escogitarono il sistema delle chinampas, che consisteva in una sorta di "orto galleggiante" piantato su uno strato di fertile limo e sorretto da graticci saldamenti fissati ai fondali del lago.

 

La società e la religione azteca 

La società azteca era fortemente gerarchizzata. Alla base di tutta la vita pubblica e religiosa vi era il capulli, una comunità di persone che condividevano il possesso di una unità di terra, il cui sfruttamento veniva tramandato di padre in figlio. Ciascun capulli era dotato di poteri militari e religiosi ed eleggeva un proprio rappresentante, il capullec. Tutti i capullec formavano un consiglio il cui compito principale era quello di nominare il sovrano tra i membri della famiglia reale. Questi veniva chiamato tlatoani ed era capo dell'esercito e giudice assoluto.
La società era poi costituita dalla famiglia del sovrano, dai pipiltin, membri dell'aristocrazia per nascita, dai sacerdoti, i quali venivano istruiti in una apposita scuola religiosa collocata nel tempio e chiamata calmecac, e dai macehualtin, la massa del popolo fra la quale venivano arruolati i giovani per l'esercito. La futura classe dei guerrieri veniva educata in un'altra scuola chiamata telpochcalli. Vi erano inoltre gli agricoltori o mayeque, che pur coltivando la terra non ne avevano il possesso, e per ultimi gli schiavi o tlatlacotin, mantenuti dai loro padroni ed esentati dagli obblighi militari.
Della civiltà azteca ci sono pervenuti alcuni documenti in una scrittura pittografica. Gli aztechi compirono significativi progressi nel campo delle erbe medicinali, nell'osservazione degli astri e nella creazione di un calendario.
Tra le varie attività artigianali vi era quella della lavorazione delle piume di uccelli come gli splendidi manti e copricapi cerimoniali: di questa oggettistica si conservano ancora oggi molti esemplari. La produzione ceramica era, dal punto di vista artistico, assai modesta. Imponenti sono i resti delle piramidi, sopravvissute alla distruzione da parte degli europei e che vennero concepite per riflettere la concezione cosmogonica di questo popolo.

 

Il pantheon azteco 

 La suprema divinità del pantheon azteco era il dio solare Huitzilopochtli, la divinità che aveva guidato la loro migrazione. Il simbolo del mitico eroe Quetzalcoatl era il Serpente Divino; la dea dell'amore era Xochiquetzal; il dio della pioggia era Tlaloc.
Vi erano poi la dea degli amori illeciti, il dio della notte, della primavera. Il culto comprendeva sacrifici macabri, come l'offerta della lingua, della pelle e di lobi delle orecchie. Espressione massima di venerazione verso gli dèi era l'offerta di vittime umane. Alcune testimonianze rinvenute nel corso degli scavi del Templo mayor attestano di sacrifici di bambini che venivano praticati in onore di Tlaloc, al fine di propiziare la pioggia.

 

I primi sovrani e il regno di Moctezuma 

I primi sovrani furono nell'ordine: Acamapichtli (1372-1391); Huitzilihuitl (1404-1417); Chimalpopoca (1417-1426); Itzcoatl (1426-1440).
Ben presto il popolo degli aztechi formò un regno autonomo. Dalla alleanza con due grandi città-stato, Texcoco e Tlacopan, seppe trarre grandi vantaggi, giungendo a controllare tutta la valle del Messico. Salito al potere Moctezuma I Ilhuicamina (1440-1469), l'espansione azteca superò i confini della valle, giungendo, all'inizio del 1500, a dominare la quasi totalità delle terre mesoamericane. Proprio durante questa epoca si verificarono tremende carestie. Gli aztechi riuscirono a sopravvivere compiendo numerose spedizioni militari che rimpinguarono le casse dello stato.
Le città sottomesse furono costrette a versare  tributi e a offrire vittime umane a una delle divinità azteche. Inoltre queste città furono suddivise in province allo scopo di ottenere un migliore controllo militare e amministrativo da parte degli aztechi stessi.
Sempre in questo periodo, gli aztechi si dedicarono a opere di bonifica, costruendo dighe e canali di irrigazione, strade e pontili allo scopo di consentire rapidi collegamenti con la terra ferma.
La supremazia territoriale di cui godevano li trasformò in un popolo di commercianti. La classe dei mercanti divenne una delle più potenti insieme a quella degli aristocratici. I guerrieri guadagnarono prestigio fino a entrare a far parte della classe dei nobili. Il tlatoani fu affiancato nella gestione del potere dal cihuacoatl, con compiti relativi all'amministrazione interna dello stato.

 

Il crollo della potenza azteca 

Il declino dell'egemonia azteca iniziò al tempo del regno di Moctezuma II Xocoyotzin in seguito alla concomitanza di molteplici fattori, tra i quali: una nuova carestia; la crescita demografica che richiedeva una grande disponibilità di cibo; l'allentamento dei controlli militari sul territorio e i segni di cedimento della stessa organizzazione sociale. 
Questi elementi avvantaggiarono Cortés nella conquista del paese. Il conquistatore spagnolo, infatti, in soli tre anni, riuscì ad abbattere l'ultima delle grandi civiltà mesoamericane.

 

I taraschi 

Contemporanea alla civiltà azteca fu quella dei taraschi, che abitavano la regione boscosa di Michoacan. Essi praticavano la caccia con archi, frecce e clave. Eseguivano lavori in rame e oro ed erano, inoltre, abilissimi incisori di pietre preziose. Producevano una sottile ceramica dai colori bellissimi. La loro capitale era Tzintzuntzan, nei pressi del lago Patzcuaro, ricca di piramidi a forma circolare, una caratteristica che non si riscontra in nessun'altra città della Mesoamerica. I sovrani taraschi erano chiamati kasonsi ed erano al vertice di una società gerarchizzata.

 

I mixtechi 

I mixtechi, un'altra cultura sorta nel periodo post-classico, sono famosi per gli 8 codici, che illustrano nei particolari la loro vita e quindi la loro storia, permettendo così agli archeologi di ricostruire la loro cronologia dal 692 alla conquista spagnola. Grazie a questi codici si è potuto sapere, per esempio, che i mixtechi riuscirono a imporsi sugli zapotechi.
Nelle tombe mixteche sono stati rinvenuti oggetti in cristallo di rocca, oro, argento e pietre preziose. Il cranio tempestato di turchesi e di lignite della "tomba n. 7" di monte Albán è una delle maggiori testimonianze della sensibilità di questo popolo verso i defunti. I mixtechi adoravano il dio della primavera, al quale sacrificavano un prigioniero. I centri mixtechi più importanti furono Puebla e Oaxaca ed è in quest'ultima località che sono emersi i reperti più interessanti della loro cultura.

 

Le Civiltà andine e gli Inca

 

Le culture delle Ande settentrionali 

Le culture delle Ande settentrionali si svilupparono in un'area che comprende i territori di Ecuador, Colombia e Venezuela settentrionale. Da queste zone intermedie, tra Mesoamerica e cordigliera delle Ande, passarono numerosi gruppi di cacciatori e raccoglitori diretti a sud; essi introdussero tradizioni e costumi tipici delle culture mesoamericane.
Il popolamento di queste zone ebbe inizio dal 12 000 a.C. In Colombia sono stati portati alla luce strumenti litici e in osso accanto a resti di mammut, mastodonti e cavalli americani, tutti animali del Pleistocene.
Nelle zone costiere, fluviali e lacustri, sono state rinvenute tracce di culture di pescatori, oltre che di cacciatori, come lame e strumenti unifacciali. In Ecuador, nei siti di El Inga e di Vegas, sono stati trovati numerosi strumenti litici dentellati probabilmente usati da gruppi di pescatori. Nel Venezuela settentrionale e a Taima-Taima in particolare, sono stati scoperti gli strumenti più antichi, risalenti al 12 000 a.C., con punte bifacciali: si tratta delle punte di lancia dette El Jobo, tipiche di questa terra.

 

Periodo ceramico antico 

L'evoluzione dei gruppi andini da raccoglitori ad agricoltori si verificò verso il 3500 a.C., alla fine del periodo preceramico, quando una nuova ondata di mesoamericani giunse nella regione portando con sé il mais e iniziando la coltivazione di questo cereale.
La ceramica fu introdotta pressappoco in questa epoca che viene comunemente definita periodo ceramico antico (3500- 1500 a.C.). A Puerto Hormiga in Colombia e a Valdivia in Ecuador sono stati trovati oggetti in ceramica molto più antichi risalenti al 3800 a.C.
Il sito di Puerto Hormiga conteneva reperti ceramici primitivi ottenuti impastando l'argilla con alcuni vegetali oltre a vasi decorati che mostrano, anche per il tipo di impasto con la sabbia, una maggiore esperienza nella lavorazione della ceramica.
A Valdivia sono emersi oggetti in ceramica di vario tipo, dai vasi alle giare, tutti decorati finemente con incisioni o applicazioni, con il bordo superiore ondulato e la base sorretta da quattro piedi. Di particolare valore artistico sono le piccole figure femminili, dette "Veneri", alte mediamente dai 7 ai 10 cm. Interessanti, inoltre, sono i reperti di Cerro Narrio (in Ecuador), di Canapote e di Barlovento (in Colombia) che testimoniano una particolare cura per il colore e per la decorazione geometrica.

 

Periodo formativo 

Il periodo formativo segna il trapasso a un'economia agricola più specializzata, basata sulla coltivazione del mais e della manioca. La tecnica agricola del debbio (un sistema che prevede l'incenerimento di erbacce per la concimazione del terreno) viene spesso sostituita o affiancata da quella a terrazze.
Si costruiscono i primi sistemi di canalizzazione per l'irrigazione dei campi. L'incremento nella produzione di alimenti comporta una crescita demografica consistente. I villaggi allargano i propri confini e si afferma una società suddivisa in classi. A capo dell'organizzazione politica vi è un tiranno al quale si attribuisce una natura divina.
Particolare importanza assume la guerra, che è concepita non solo come uno strumento di conquista e di espansione, ma anche come un mezzo per entrare a far parte dell'aristocrazia.

 

Le culture più significative 

Tra le culture più significative di questo periodo va ricordata la cultura di Chorrera in Ecuador, che deve le sue origini a quella di Valdivia e di Machalilla. Chorrera impone la propria influenza nelle zone circostanti e diventa un importante centro di commercio.
La raffinatezza di questa cultura è testimoniata dalla produzione di ceramiche e di oggetti in terracotta. Vasi e altri oggetti dipinti con colori vivaci e rosati, dalla straordinaria lucentezza, contraddistinti dal contrasto tra il lucido e l'opaco: graziose statuette che raffigurano uomini e donne con i tratti somatici tipici degli abitanti del luogo.
Tra il 1120 a.C. e il 100 d.C. si sviluppa la cultura di Momil e quella di Malambo, nella Colombia settentrionale.
Nei rispettivi siti, grazie agli scavi, sono stati rinvenuti strumenti litici, in osso e a conchiglia, che testimoniano una cultura ancora legata alla raccolta di vegetali e di molluschi. Sono emersi anche manufatti in ceramica e in terracotta, dipinti o variamente decorati con incisioni dentellate e a linee. A Momil sono state portate alla luce anche un certo numero di statuine cave, che rappresentano uomini e donne seduti.

 

Le culture regionali 

Con l'espressione "culture regionali" di norma si intende far riferimento a un preciso periodo iniziato nel 500 a.C. e concluso nel 500 d.C., nel corso del quale si registra uno spostamento della popolazione colombiana verso l'interno, con la conseguente formazione di comunità settorializzate corrispondenti a ciascuna vallata intermontana.
Un esempio tipico di cultura regionale è San Augustin, sorta in Colombia alle sorgenti del Rio Magdalena. Di essa ci sono pervenute 300 grandi sculture antropomorfe monolitiche alte 4 m, di certo una delle espressioni artistiche più spettacolari di tutte le civiltà andine. Gli scavi archeologici in questa località hanno portato alla luce templi e camere funerarie; queste ultime hanno le pareti decorate da disegni geometrici nei colori rosso, giallo, nero e bianco.
Camere sepolcrali appartenenti all'omonima cultura collocata al confine nordoccidentale di San Augustín sono state scoperte a Tierradentro.
Questi sepolcri, unici in America, hanno una struttura più articolata e sono accessibili solo attraverso ripide scale a chiocciola. Le pareti e il soffitto, spesso a volta, presentano disegni geometrici o raffiguranti volti umani.
Una delle manifestazioni artistiche più ricorrenti nelle culture regionali è la lavorazione dell'oro, dell'argento e della tumbaga (una lega di rame e oro). È questa una prerogativa della cultura di Quimbaya (medio Rio Cauca), nel cui sito sono stati ritrovati oggetti in oro e in tumbaga del peso di un chilo.
Anche a Calima, nella regione dell'alto Rio Cauca, si producevano maschere, diademi, pettorali, collane e braccialetti in oro,  di fattura assai pregevole.
Nel territorio ecuadoregno si formarono diverse culture: Guangala, Jambeli, Tejar, Daule, Bahia, Jama-Coaque, Tolita e Tiaone. La cultura Guangala si distingue per i suoi prodotti ceramici funerari. Quella di Jambeli era una comunità di pescatori. La gente di Tejar e di Daule si dedicava alla coltivazione di mais, manioca, fagioli, patate e quinoa (un cereale). Alla cultura Bahia appartengono graziose statuine in terracotta raffiguranti sacerdoti o sovrani vestiti elegantemente. La produzione artistica delle culture Jama-Coaque, Tolita e Tiaone presenta numerose affinità con quella delle civiltà mesoamericane del tempo.

 

Il periodo tardo 

Il periodo che precede la conquista spagnola delle Ande settentrionali, avvenuta nel 1550, viene definito tardo e ha inizio nel 500 d.C.
Nel corso di questo millennio non si registrarono grossi cambiamenti sul piano sociale e politico. Il potere del tiranno, sostenuto dalla classe aristocratica (sacerdoti, nobili e guerrieri), si consolidò. Il popolo comune fu destinato alla coltivazione dei campi e all'artigianato. Drammatica era la condizione degli schiavi: gli uomini venivano sacrificati in occasione di riti religiosi o di banchetti cannibalici, mentre le donne erano costrette a svolgere tutti i lavori più faticosi.
L'arte ceramica e quella orafa giungono a livelli di massima espressione. Ne è un esempio significativo la produzione artistica della cultura Chibcha. Gli spagnoli a contatto con questi popoli, definirono la loro regione Castilia de Oro, proprio per la preziosità degli oggetti in oro creati da essi. I chibcha, chiamati anche muisca, lavoravano la ceramica con tecniche avanzate e la decoravano con disegni geometrici.

 

La leggenda dell'uomo dorato 

Le fonti tarde spagnole riportano la descrizione di un rito religioso assai particolare: in determinate occasioni il gran sacerdote si ungeva il corpo di resina o pece su cui poi soffiava polvere d'oro; così spalmato si immergeva nelle acque come sacrificio alla dea dell'acqua. Nacque da qui la leggenda della scoperta dell'"uomo dorato" o El Dorado.

 

Le città più fiorenti 

Tra le città più fiorenti del tempo vi furono Manteño, Milagro e Atacames nella regione ecuadoriana. La cultura manteña non ebbe una produzione artistica di grande rilievo, fatta eccezione per quella con gli oggetti amonolitici, a forma di "U", che servivano da sedili cerimoniali.
Questa popolazione aveva costruito zattere e canoe per spostarsi in territori distanti dove commerciare i propri oggetti in rame e in oro. Assai agguerriti e tenaci, furono essi a frenare per un certo periodo l'invasione degli incas. La conquista spagnola del 1550 segnò il loro definitivo declino.
A Milagro sono state ritrovate centinaia di lame d'ascia in rame e ciò fa supporre che costituissero moneta di scambio.

 

Le culture delle Ande centrali 

L'area delle Ande centrali comprende la parte meridionale dell'Ecuador, i territori degli attuali stati del Perù e della Bolivia, e il nord dell'Argentina e del Cile. Le prime popolazioni arrivarono in questa vasta regione nel 12 000 a.C., scendendo da nord lungo la costa o attraversando le valli intramontane.

 

Il periodo preceramico 

Sulla costa e sull'altopiano, la prima fase del Preceramico vide la presenza di gruppi di cacciatori e di raccoglitori che vivevano in caverne e costruivano manufatti litici monofrontali.
Verso il 4000 a.C. si cominciarono a coltivare le zucche, il cotone e i fagioli, si sfruttarono le risorse ittiche dell'oceano; si formarono i primi villaggi. L'agricoltura divenne un'attività dominante e diffusa solo nel 2500 a.C. quando si affermarono le colture del mais, del peperoncino, dell'avocado. Soprattutto la comparsa del mais produsse una vera esplosione demografica, che rese necessario l'ampliamento dei villaggi.
Huaca Prieta era abitata da centinaia di persone che vivevano in case minuscole con l'entrata a livello della superficie e i locali sottoterra. I materiali utilizzati per il tetto erano le ossa di balena e il legno. Le case di Rio Seco erano invece più spaziose e contenevano delle piramidi dal significato ancora sconosciuto. Chuquitanta ospitava il tempio forse più antico del Perù, una struttura di 35 locali, coperta da argilla dipinta in giallo, in rosso e in bianco.
In molti di questi siti archeologici, grazie al clima assai arido della zona, sono state rinvenuti mummie e scheletri di persone sacrificate, teste trofeo e numerosi oggetti di uso quotidiano. Già in questo periodo si conosceva l'arte della tessitura del cotone, come testimoniano i sudari di questo tessuto che avvolgono le salme.
Tra i siti dell'altopiano, quello più interessante è Kotosh, dove sorge il famoso edificio chiamato Tempio delle Mani Incrociate. Il nome del tempio è dovuto a un bassorilievo che raffigura due avambracci umani incrociati, dalla simbologia ignota.

 

Il periodo ceramico iniziale 

Il periodo preceramico si conclude nel 1800 a.C., anno dal quale gli studiosi sono soliti far partire il periodo ceramico iniziale, che viene così definito perché in esso, per la prima volta, si verifica la comparsa della ceramica.
Questa era stata introdotta dalle popolazioni provenienti dall'Ecuador, che già da tempo ne facevano commercio. Nei luoghi di Kotosh, Las Haldas, Hacha, Toril e Tutishcainyo sono stati portati alla luce i prodotti ceramici più antichi delle Ande centrali. Si possono distinguere due stili: quello waira-jirca di Kotosh, in cui prevale la decorazione geometrica, e quello tutishcainyo, con disegni a linee incrociate o parallele.
Oltre alla lavorazione della ceramica, in quest'epoca furono realizzate altre innovazioni come per esempio l'addomesticamento del lama, del quale venivano sfruttate la carne e la pelle, e l'invenzione del telaio a martingala.

 

La cultura chavin 

Dal 900 al 200 a.C. si sviluppa una delle culture più influenti delle Ande centrali: la cultura Chavin, definita anche "cultura orizzonte" proprio per la sua ampia diffusione. Essa inaugura un'epoca storica nuova: il periodo dell'Orizzonte antico. Il suo centro principale è la città di Chavin de Huantar, situata nella sierra centrale e portata alla luce dall'italiano Raimondi nel 1833.
Gli scavi hanno riesumato un Castillo, una sorta di piramide a tre piani con una scalinata, altri templi a terrazza e grossi monumenti monolitici. La ceramica chavin è ricca di forme e colori e finemente decorata: fa pensare a una civiltà agricola.
La società doveva essere teocratica, suddivisa in caste religiose e militari, come testimonia la presenza di numerosi luoghi di culto. Il pantheon chavin comprendeva forse una divinità dall'aspetto umano e felino, la cui immagine ricorre spesso in rappresentazioni scultoree e pittoriche riportate su ceramica, su tessuto e su osso.
Un avvenimento sconosciuto pose fine a questa cultura, lasciando spazio ad altre forme culturali e artistiche, come quella di Paracas (400-100 a.C.), nella costa meridionale. Nella storia di questa cultura si distinguono due fasi: quella detta Paracas Cavernas che dura dal 400 al 250 a.C., e quella definita Paracas Necropolis, che va dal 350 al 100 a.C. La prima fase è caratterizzata da uno stile artistico primitivo, nel quale la ceramica e i tessuti, come la lana, sono colorati con tonalità brillanti e vivaci.
La seconda fase, invece, esprime una sensibilità e un gusto davvero elevati, come dimostrano i motivi naturalistici e le raffigurazioni di esseri umani dall'aspetto fantastico, nonché le applicazioni in oro sulla ceramica.

 

La cultura mochica 

Al periodo dell'Orizzonte antico, segue un'epoca di regionalizzazione delle culture, definita dalla storiografia moderna periodo Intermedio antico (200 a.C. - 600 d.C.). La cultura emergente è senza dubbio quella mochica collocata nella costa settentrionale. Essa ci è nota attraverso i resti ceramici e gli altri oggetti rinvenuti tra le rovine e nelle tombe.
Gli antichi mochica vivevano di pesca e di agricoltura; coltivavano i loro campi con estrema cura. I prodotti in ceramica sono decorati con scene di guerrieri armati, raffigurati con grande realismo, o con scene di parto e di morte.
I resti architettonici più rappresentativi sono due piramidi in mattoni, con gallerie affrescate all'interno. I reperti a disposizione ci parlano di una società di sacerdoti, di sovrani, di artigiani e di agricoltori in perfetta armonia tra di loro e rivelano anche alcune caratteristiche dello spirito di questo popolo, dotato di una fantasia ricca e vivace, di un forte senso religioso, come testimoniano le immagini di esseri zoomorfi rappresentate dalle statuette di terracotta e impresse sui tessuti e sulle ceramiche.

 

La cultura nazca 

La cultura Nazca, fiorita nella costa meridionale, è famosa per la policromia dei suoi vasi in ceramica, che riportano scene mitologiche, e per i suoi magnifici tessuti ricamati. Uno degli aspetti più tipici di questa cultura è quello di disporre sul suolo pietre della stessa grandezza in modo da formare disegni visibili solo dall'alto. Questi tracciati potevano avere un significato astronomico oppure cerimoniale; i nazca dedicavano tali opere alle divinità ed erano il mezzo per comunicare con loro.

 

Le culture pucará e tiahuanaca 

Tra il 600 e il 1000 d.C. (periodo dell'Orizzonte medio) si svilupparono tre centri di grande influenza. Quello di Pucará nacque nella sierra meridionale ed era formato da coltivatori di patate e allevatori di alpaca e lama.
La potenza di questa città durò poco, essa, tuttavia, raggiunse un alto grado di civiltà, come attestano la produzione di ceramica policroma, ravvivata da incisioni di immagini zooantropomorfe e i monoliti raffiguranti grossi felini.
La cultura di Tiahuanaco sorse nell'odierna Bolivia a circa 4000 m di altezza in prossimità del lago di Titicaca.
In passato fu un centro rinomato di culto e meta di pellegrinaggi. In questa città si ergeva una piramide in mattoni alla cui sommità sorgeva un edificio templare.
Ai piedi della piramide si elevava, circondata da un recinto, una porta chiamata Porta del Sole, consistente in un unico blocco di andesite (roccia di tipo vulcanico) con al centro un foro e in alto un fregio, scolpito a rilievo, riportante l'immagine di una divinità solare (probabilmente il mitico dio Viracocha). Accanto a questo edificio vi erano alcune sculture megalitiche, fortemente stilizzate e cariche di un profondo significato religioso. Le tracce di questa cultura si possono trovare in diversi centri e ciò si spiega col fatto che Tiahuanaco esercitava una grande attrattiva culturale su tutti i popoli vicini.

 

La cultura huari 

A questo periodo appartiene anche la cultura Huari dell'altopiano centrale. A differenza di Tiahuanaco, Huari si impose agli altri centri con la forza militare. In poco tempo si trasformò in un importantissimo centro commerciale, dominando su un'ampia area del Perù. Ma le guerre che essa dovette ingaggiare contro i villaggi sottomessi la condussero al declino intorno al 1250 d.C.

 

L'epoca postclassica 

Con il declino delle civiltà Huari e Tiahuanaco, ha inizio l'ultima epoca delle Ande centrali prima dell'arrivo dei conquistadores, comunemente definita postclassica, recentemente suddivisa dagli storici in periodo Intermedio tardo (1000-1476 d.C.) e in periodo dell'Orizzonte tardo (1476-1534 d.C.).
Durante il primo periodo si formano di culture come quelle di Chimú, Cuismancu e Chincha, mentre nel secondo si afferma la cultura degli inca.
Le culture del periodo Intermedio tardo costituiscono strutture politiche di tipo statale fortemente militarizzate. Non a caso infatti le loro capitali e i loro centri principali erano circondati da mura fortificate.

 

La cultura chimú 

Il regno di Chimú per esempio, sorto sulla costa peruviana, dopo aver compiuto diverse campagne militari e aver esteso il suo territorio, aveva eretto in prossimità dei suoi confini delle grandi fortificazioni, tra le quali la famosa fortezza di Paramonga.
Anche la sua capitale, Chan-Chan, era recintata da mura inespugnabili. Al suo interno sorgevano palazzi ed edifici di culto. Il sovrano era considerato di natura divina; egli demandava il governo delle regioni sottomesse a funzionari che rispondevano ai suoi ordini.
Il potere politico era quindi fortemente centralizzato, tanto è vero che persino le attività lavorative e l'organizzazione economica venivano regolate dal sovrano, il quale gestiva anche il culto religioso. Essendo un popolo di agricoltori e di pescatori, i chimú adoravano divinità lunari (corrispondenti alle diverse fasi della Luna) e divinità marine. Inoltre riservavano un particolare culto alle huacas, ovvero oggetti litici che essi identificavano con divinità.
In campo artistico i chimú risentirono dell'influenza dello stile mochico, ma non riuscirono a eguagliarne la raffinatezza. La ceramica, infatti, veniva prodotta con gli stampi e mancava dell'originalità artistica delle epoche precedenti.
Le innovazioni tecniche apportate nel campo dell'oreficeria diedero degli ottimi risultati. È sufficiente pensare alle delicatissime lavorazioni in filigrana, uno degli esempi massimi dell'eleganza stilistica raggiunta da questa popolazione.
La tessitura si avvantaggiò di nuovi metodi che portarono alla produzione di intrecci a garza o a broccato, spesso lavorati con piume di uccello.

 

Le culture cuismancu e chinca 

Lo stile artistico degli abitanti delle valli del centro e del meridione era quello Ica. Questo stile si afferma all'interno delle confederazioni di Cuismancu e Chincha, che producono entrambe una ceramica decorata con immagini di animali acquatici e volatili dai colori brillanti, come il rosso, il nero e il bianco.
Nell'altopiano meridionale si trovano ancora oggi tracce del regno di Chicuito, uno stato sorto in quest'epoca sul lago di Titicaca. La peculiarità di questo popolo era la costruzione di torri sepolcrali, chiamate chullpas, che per le loro dimensioni e per la posizione strategica in cui erano collocate potevano servire da avamposti militari.

 

Gli inca, popolo egemone nella regione andina 

L'ascesa della cultura inca, situata nella città di Cuzco, a 3400 m di altitudine nel Perú meridionale, segnò l'inizio di una nuova fase storica denominata dell'Orizzonte tardo, proprio in ragione della diffusione e dell'importanza che  rivestì questa civiltà, tanto che si può parlare, in relazione a essa, di una nuova età panperuviana.
Secondo la leggenda il fondatore della dinastia incaica fu Manco Capac, il mitico eroe figlio del Sole, vissuto intorno al 1200 d.C.
Ma la supremazia di questo popolo su tutta la regione andina centrale si realizzò con Pachacutec Yupanqui (1438-1471 d.C.) e con il suo successore Tupac Yupanqui (1471-1493 d.C.) fu portata alla sua massima espansione territoriale. L'impero inca decadde sotto il regno di Huaina Capac (1493-1532) e di Atahualpa, ucciso nel 1532 d.C. dagli spagnoli con la garrota e non bruciato al rogo come tutti gli infedeli (si era convertito al cristianesimo).

 

La società organizzata degli inca 

L'organizzazione sociale degli inca si fondava sull'istituzione dell'ayllu, una comunità che vantava la discendenza da uno stesso antenato. Prerogativa assoluta dell'ayllu era il possesso della terra, trasmesso per usufrutto ai propri eredi maschi.
Un consiglio di anziani si incaricava della ridistribuzione periodica delle terre per garantire la parità dei membri. Uno degli ayllu forniva il sovrano o Sapa Incas, ritenuto figlio del dio Sole e immortale. Per mantenere la purezza della razza il Sapa sposava una delle sorelle, che veniva chiamata coya. Al sovrano spettava una parte delle terre e dei tributi (mita), mentre le rimanenti proprietà venivano divise in due metà: una destinata al culto del dio Sole, l'altra ai membri dell'ayllu. La nobiltà era costituita oltre che dagli ayllu, anche dai funzionari che amministravano le regioni sottomesse, i curaca.

 

Il controllo di un vasto impero 

L'impero era stato diviso in decurie (dieci capifamiglia), superdecurie, centurie, sezioni, sottoprovince e province (quattro in tutto). Il controllo sulle città suddite era capillare e pressante: la registrazione di tutte le cose e le persone presenti in una terra avveniva attraverso i quipu, cordicelle di diversi colori variamente annodate che servivano a memorizzare cifre e nomi. Ogni quipu veniva portato nella città di Cuzco, dove veniva conservato.
Accanto a questi burocrati, vi era la classe degli artigiani e degli agricoltori sull'attività dei quali si fondava l'economia dello stato. Importanti erano anche gli allevatori di lama, vigogna e alpaca.
Una delle colonne portanti della società era la classe dei guerrieri e dei capi dell'esercito, indispensabili per la conquista dei territori e per il mantenimento del potere su di essi.
Gli incas esigevano dalle città sottomesse il tributo di un esercito che impiegavano per controllare le regioni confinanti, sfruttando le passate ostilità tra i popoli limitrofi.
Tra le armi utilizzate vi erano le lance, gli scudi, le fionde, le mazze e l'arco.

 

I culti religiosi, i sacerdoti e il pantheon inca 

Nelle aree conquistate gli incas imponevano la loro lingua (il quechua), il culto del dio Sole e l'amministrazione centrale, ma tolleravano i culti religiosi che non fossero in contrasto con la loro religione, i costumi, le tradizioni locali e i dialetti idiomatici. Sceglievano le adolescenti più belle e le obbligavano a entrare in conventi dedicati al dio Sole (da qui la loro denominazione come vergini del Sole). Altre venivano date in moglie ai nobili o allo stesso imperatore, mentre alcune venivano sacrificate a un dio.
I sacerdoti costituivano una classe molto potente retta da uno dei parenti prossimi del sovrano (lo Uillac Umu). A questo capo religioso supremo spettava il compito di scegliere gli altri sacerdoti e gli sciamani subalterni.
Al vertice del pantheon inca era Viracocha, antica divinità andina che aveva presieduto alla creazione. Al suo fianco vi era il dio del Sole, Inti, particolarmente venerato, e i già citati huacas. Poco frequenti erano i sacrifici umani, praticati solo a scopo intimidatorio o in occasione di festività importanti.

 

Arte e architettura presso gli inca 

In campo artistico gli incas si distinsero nella lavorazione dei metalli, come l'oro, l'argento, il rame e lo stagno dalla cui lega ricavarono il bronzo.
La loro produzione ceramica era molto varia nelle forme e nei colori, oltre che tecnicamente perfetta. In architettura si avvalsero di due distinte tecniche: a pietre rettangolari e a pietre irregolari squadrate. Grazie a questi accorgimenti, furono in grado di realizzare costruzioni civili, militari e religiose, dotate di un secondo piano con travature in legno.
Lungo i confini dell'impero, gli incas edificarono villaggi fortificati, come quello di Machupicchu, a difesa del loro territorio. Ancora oggi essi si ergono maestosi nel paesaggio andino.

 

Le culture delle Ande meridionali 

L'area delle Ande meridionali comprende la parte meridionale della Bolivia, quella centrale del Cile e quella occidentale dell'Argentina.
Le culture che abitavano le valli delle Ande meridionali non riuscirono a eguagliare quelle dei loro vicini settentrionali, né in campo artistico né in ambito socio-politico. A causa della loro estrema posizione nel continente americano, ma anche per la presenza di una zona arida e disabitata che separava questi territori da quelli centrali, le culture andine meridionali stentarono a svilupparsi.
Inoltre la mancanza di documenti scritti o di abbondanti resti archeologici non consente un'accurata descrizione dei loro caratteri. Durante il Preceramico, tra il 12 000 e il 500 a.C., gruppi di cacciatori e raccoglitori giunti dal nord nella regione usavano strumenti in selce scheggiata, sostituiti in seguito da punte bifacciali a forma di lancia.

 

Il periodo ceramico e la cultura dei tumuli 

Nell'arco di tempo compreso tra il 500 a.C. e il 600 d.C., con l'avvento del periodo ceramico, a seguito di un'ondata migratoria proveniente dal centro, si cominciarono a elaborare elementi culturali peruviani: ne è una testimonianza diretta la cosiddetta cultura dei Tumuli, alla quale vengono attribuite le costruzioni di forma conica di significato funerario e le ceramiche decorate con incisioni e colorate di grigio.

 

Altre culture sopravvissute fino all'arrivo degli Inca 

Intorno al 200 a.C. sorse la cultura Atacameño, nel deserto di Atacama, che estese i propri territori sino a tutto il settentrione cileno e all'occidente boliviano.
Nel 600 d.C. si verificarono alcuni cambiamenti sociali di una certa importanza: crescita demografica, maggiore urbanizzazione, suddivisione della popolazione in classi. Parallelamente, dal punto di vista artistico, si ebbe una produzione ceramica policromata.
Lo stile tiahuanaco fece sentire la sua influenza anche in queste regioni, fino al momento del suo declino.
Nell'ultima fase del Ceramico emerse la cultura Diaguita (Cile centrale e Argentina occidentale) che parlava il kakan, ma seguì anch'essa lo stile tiahuanaco.
I diaguita sopravvissero fino all'arrivo degli incas, che li sottomisero, insieme agli altri popoli della stessa area. L'arrivo degli spagnoli, infine, avvenuto nel 1532, segnò la fine dell'Impero incaico.

 

Gli indiani d'America

L'America settentrionale nella preistoria 

Il continente americano visse, prima della scoperta di Cristoforo Colombo, una storia parallela a quella dei continenti europeo, asiatico e africano.
La penetrazione dell'uomo in questa terra sterminata avvenne probabilmente nel corso dell'ultima glaciazione, detta del Wisconsin, quando in prossimità dello astretto di Bering i ghiacci formarono un istmo tra l'America del Nord e l'Asia.
La Beringia, così gli archeologi definiscono questo ipotetico ponte di ghiaccio tra la Siberia e l'Alaska, consentì al tipo asiatico di Homo sapiens di passare da un continente all'altro e di giungere fino alla Terra del Fuoco, popolando le diverse regioni dell'America. Questa migrazione si concluse alla fine del periodo di glaciazione, quando le acque tornarono a invadere il tratto dello stretto di Bering.
Ma ciò accadde ben 20 000 anni dopo: un tempo sufficiente perché si realizzasse un cospicuo flusso di tribù e il loro pieno adattamento ai nuovi territori.
È ormai certo che gli early men o "primi uomini" americani avevano la cultura tecnica del paleolitico superiore. In Alaska sono stati rinvenuti alcuni manufatti nelle grotte di Bluefish, databili fra i 18 000 e i 15 000 anni fa, del tutto simili agli utensili del paleolitico superiore dell'Asia settentrionale e orientale.

 

L'età dei Grandi cacciatori 

Circa 16 000 anni fa ebbe inizio l'età dei Grandi cacciatori, un periodo segnato dalla comparsa di due tradizioni culturali: quella dei Cacciatori di Megafauna, predatori che cacciavano mammut, bisonti e cavalli, armati di lance con punte litiche, e quella dell'Antica Cordigliera, la tradizione di cacciatori dediti anche alla raccolta di vegetali.
Entrambe sorsero nell'attuale regione sudoccidentale degli Stati Uniti e perdurarono fino al periodo postglaciale. All'interno della tradizione dell'Antica Cordigliera si sviluppò nella costa nord-ovest americana la tradizione antica di Microlame, capace di utilizzare lame piccole in silice e ossidiana.

 

Il passaggio ad una cultura stanziale 

Più tardi i gruppi di questa tradizione si adattarono alla vita della costa, dedicandosi alla pesca e stanziandosi in ampi villaggi. La cultura della Microlama era presente anche nella zona dell'Altopiano interno, in seguito rimpiazzata da tradizioni regionali, nell'area del Grande Bacino e in California.
Accanto alla tradizione della Microlama si formò la tradizione del Deserto, una cultura nata dall'adattamento nelle terre desertiche americane. Questa cultura si costituì nella zona del Grande Bacino, in California e nei territori sudoccidentali fino a giungere al Messico.
Nella parte orientale dell'America settentrionale, caratterizzata dalla presenza di immense distese boschive, si passò da una tradizione arcaica (dai 10 000 ai 3000 anni fa) nella quale prevalevano cacciatori e pescatori, al periodo del Silvicolo. Le popolazioni di questo periodo lavoravano la ceramica, praticavano l'agricoltura e costruivano tumuli funerari. Nell'ultimo periodo, quello dei tumuli cerimoniali, si affermò un potere politico-religioso sotto l'influenza delle culture mesoamericane.

 

La regione artica 

Nell'Alaska e nella regione artica compaiono elementi della tradizione dei Cacciatori di Megafauna, come nel complesso archeologico di Akmak rinvenuto al centro dell'Alaska e risalente a 10 000 anni fa. I manufatti ritrovati sono simili a quelli scoperti in Siberia, in Giappone e in Mongolia.
Circa 4200 anni fa questi cacciatori diedero inizio alla cosiddetta tradizione microlitica dell'Artico, alla quale successivamente si sostituì la cultura detta del Vecchio Baleniere, che si è soliti collocare all'incirca 3800-3700 anni fa, sulle coste dello stretto di Bering.
Di questa gente si sa solamente che fabbricava lunghe lame di silice. Essa affiancava la cultura di Denbigh (della tradizione microlitica dell'Artico), che sfociò a sua volta nella cultura di Choris.
A quest'ultima si deve l'uso della ceramica decorata e il ricorso a lame più grandi. La gente di Choris cacciava foche, uccelli e probabilmente renne; viveva in abitazioni simili a quelle siberiane del Paleolitico superiore.
Questa popolazione scomparve in seguito alle invasioni dei cacciatori di Norton, i quali furono più tardi soppiantati dalla cultura di Ipiutak, conosciuta per la sua arte dallo stile scito-siberiano.
Dopo gli Ipiutak, i Birnik inauguravano una nuova forma culturale, con caratteri simili a quelli eschimesi.
Circa 3700 anni fa la zona costiera dell'Artico fu occupata dai predorsetiani,  popolazione nomade di cacciatori di foche e di uccelli, nonché abili pescatori, che abitavano in igloo.
Da questi sorsero i dorsetiani, che utilizzavano una slitta trainata da uomini, e praticavano la magia sciamanica.
Poco più tardi i thuleani, dai quali discendono gli eschimesi, invadevano l'intera regione artica, spinti dalla caccia alle balene franche.
Essi disponevano di potenti mezzi per la pesca, quali le gigantesche imbarcazioni in pelle chiamate umiak, a bordo delle quali giunsero facilmente in Groenlandia, dove si stabilirono.

 

Le comunità indiane dell'America del Nord 

Prima della comparsa degli europei, l'America del Nord era popolata da numerose comunità autoctone diverse tra loro nella lingua e nelle usanze.
Il linguista statunitense Edward Sapir, che sotto l'influsso di F. Boas si dedicò all'antropologia e allo studio delle lingue amerindiane, nel 1929, nel tentativo di operare una classificazione di queste culture, suddivise le lingue dei cosiddetti pellerossa in sei gruppi fondamentali.
Studi più recenti hanno tuttavia ridotto il numero di questi gruppi a cinque ceppi principali, ovvero: eschimesi-aleutini, penuti-denè, algonchini-wakash, hoka-sioux e aztechi-tanoan.
Clark Wissler, insigne antropologo americano, ha successivamente localizzato le regioni abitate dalle nove famiglie.
Partendo da nord verso sud le regioni individuate da Wissler sono le seguenti: area eschimese (famiglie eschimesi-aleutini); area Mackenzie o interno del Canada (famiglia algonchini); area forestale dell'est o regione dei Grandi Laghi e della costa orientale (famiglia huroni-irokesi); area delle pianure o delle praterie americane e canadesi (famiglia sioux); area del litorale del Pacifico nord o regione estesa dall'Alaska alla California (famiglia kwakiutl, tlinghit e chinook); area californiana (famiglie yurok, shasta e yuma); area degli altipiani a ovest delle grandi pianure (famiglie shoshoni e nasi bucati); area del sud-est a est del Mississippi (famiglie irokesi e sioux); e infine area del sud-ovest nel Nuovo Messico, Arizona e Messico (famiglie pueblos e apache).

 

La vita quotidiana delle tribù indiane 

La vita quotidiana degli indiani d'America si svolgeva nel rispetto assoluto della natura, tanto che, in un certo senso, essi si possono definire i primi ecologisti della storia del mondo.
Ogni essere vivente e ogni fenomeno naturale veniva visto come un segno del favore della divinità. Gli indiani non produssero mai lo sterminio degli animali che cacciavano, in quanto fonte primaria del loro sostentamento.
Inoltre furono degli eccellenti agricoltori, anche se non conoscevano ancora la tecnica dell'aratro: coltivavano mais, fagioli, zucchine e tabacco.
Nella tribù era soprattutto la donna a occuparsi dei campi, mentre l'uomo si dedicava alla caccia e alla pesca.
Le loro abitazioni consistevano in tende di pelle, le cosiddette tepee, con il pavimento coperto di rami di salice o di betulla e di pellicce. All'apice della tenda vi era un foro dal quale fuoriusciva il fumo del focolare, posto al centro. Per quanto riguarda il trasporto i pellerossa utilizzavano le canoe, costruite con rami di cedro e rivestite di pelle.
Armi da guerra erano gli archi, fatti con legno di frassino, noce e castagno, e l'ascia di pietra o tomahawk.

 

La religione e lo sciamano 

La religione era esclusivamente di tipo naturalistico, animistico e sciamanico. All'origine del mondo gli indiani ponevano un creatore, chiamato in vari modi: Manitou dagli algonchini, Orenda dagli irokesi e Wanka Taga dagli uomini delle praterie. Tra il Grande Spirito e gli uomini vi erano diversi intermediari dalle sembianze animali, come l'aquila. In alcune comunità questo ruolo era svolto anche dal totem, una sorta di semiidolo associato a un antenato o a una entità superiore che proteggeva il gruppo.
Tutti gli indiani attribuivano grande significato ai sogni e alle visioni. Lo sciamano era colui che più di tutti aveva il potere di suscitare visioni, mostrando sin dalla più tenera età la tendenza connaturata a un particolare stato mentale (estasi) che gli consentiva di entrare in contatto con gli spiriti e le divinità.
Egli agiva anche come guaritore dei malati ed esercitava i suoi poteri in occasione dell'inizio della stagione di caccia o per invocare l'arrivo della pioggia.

 

I riti funebri e il regno dei morti  

Significativo era l'atteggiamento degli indiani dinanzi al fenomeno della morte, un evento che essi vivevano con un forte senso della comunità. I riti funebri dovevano svolgersi nell'assoluto rispetto delle norme sacre. I pueblos seppellivano i loro morti, mentre gli indiani delle pianure li deponevano su una piattaforma o sulla roccia al riparo dai rapaci; altri ancora li cremavano.
Secondo antiche credenze indiane, il regno dei morti, che era delimitato da un fiume, si trovava a ovest e a sud-ovest: per questo tutte le tombe erano rivolte in tale direzione, cioè in modo da indicare la giusta via al defunto.
Nell'aldilà solo i buoni avrebbero goduto della visione del Grande Spirito, mentre i cattivi sarebbero stati costretti a vagare senza meta sulla Terra per sempre.

 

Fonte: http://files.achillefolgieri.webnode.com/200000287-515ac52551/Storia%20Antica.doc

sito web: http://files.achillefolgieri.webnode.com

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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